giovedì 13 gennaio 2011

Vecchie glorie al Bike Expo'

Continuo a pubblicare le foto del Bike Expo’ 2010.
Tra le nuove proposte, le elaborazioni e le stravaganze tipiche di questa manifestazione c’era una sezione destinata alle vecchie glorie; quelle che fanno venire i lucciconi agli occhi e riportano a un’epoca ormai tramontata.
Quella del motociclismo eroico, di corse con una scodella in testa in circuiti senza vie di fuga in cui gli errori si pagavano con la pelle, di circuiti famosi per la loro spettacolarità e pericolosità.
Valga per tutti il Tourist Trophy dell’Isola di Man.
Geoff Duke, Mike Hailwood, Joey Dunlop, Giacomo Agostini, Phil Read, John Surtees…nomi entrati di diritto nella leggenda.
Ma andiamo alle moto esposte iniziando da Sua Maestà la Norton Manx; la moto con in assoluto il maggior numero di vittorie al suo attivo, quella più longeva, quella costruita in maggior numero di esemplari.

 Quella esposta è, a naso, una 500 “corsa corta” in produzione dal 1954 e provvista del mitico telaio Featherbed e della altrettanto mitica forcella Roadholder.
L’eleganza di questa regina è innegabile; a essa si sono ispirate le Cafe Racer dei Ton Up Boys, quelli che, con il chiodo di cuoio, partivano dal piazzale dell’Ace Cafe e andavano a schiantarsi contro i cancelli della North Circular.
C’era la BSA Godstar, “Goldie” per gli amici.
Che dire di questa moto?

E’ stata la più desiderata da un paio di generazioni per la sua potenza e la sua bellezza.
Una moto da corsa travestita da stradale e quasi mai usata per il turismo.
Un motore potente, scorbutico e con un arco di utilizzazione assai limitato la hanno relegata ad un uso prettamente sportivo tanto che è difficile trovarne qualcuna in condizioni di assoluta originalità.
Per di più la BSA stessa commercializzava una serie di accessori corsaioli e di kit di potenziamento.
C’era la Triumph Trident.
Il canto del cigno dell’industria motociclistica inglese.
Una moto con un palmares sportivo di tutto rispetto.
E’ stata a lungo la moto da battere, condotta da gente come Walter Villa, nelle gare di endurance anche grazie all’influenza di Bepi Koelliker che era riuscito, in barba ai regolamenti, ad imporre delle “illegalità” come il telaio alto e i freni a disco.
La mia passionaccia per le moto è in gran parte dovuta a una Trident di colore viola con il tre in uno e la sella “clubman” che scorrazzava con il suo vocione rauco per le strade del mio paese.
Degna concorrente delle Trident era la Laverda SFC.

Questo esemplare assettato per l’endurance con i faroni esterni Cibie è un vero colpo basso.
Le “arancioni” sono state un mito per chi come me ha vissuto l’epopea delle gare di durata.
Ci volevano fegato e …testicoli per portarla al limite e un braccio sinistro come quello di Popeye per azionarne la frizione.
SFC sta per Super Freni Competizione ma era pura utopia.
Fino all’avvento del doppio disco era davvero problematico arrestarla.
Le Gilera da corsa sono invece delle moto da corsa in tutto e per tutto e mai costruite in versione stradale.
La 500 Quattro cilindri, figlia della Rondine di Remor e Gianini e sorella delle MV Quattro è un glorioso pezzo di storia.

Difficile fare un elenco di tutte le sue vittorie.
Bella e aggraziata la 175 bicilindrica bialbero.

Una gran moto penalizzata soltanto dalla sua cilindrata che la ha relegata alle corse minori.
Sembra di vedere Hailwood seduto sulla RC 181 500 quattro cilindri.

La Honda è stata la prima moto da corsa a raggiungere il tetto dei 100 Cv ma aveva carenze ciclistiche insormontabili e nemmeno il manico di “Mike the Bike” le permise di vincere il campionato del mondo.
Però da alcuni particolari, ammesso che i dischi e la forma delle teste e la presenza del motorino di avviamento possano essere dei particolari, questa mi sembra una Four travestita piuttosto che una RC 181 originale.
Vabbè, di questi tempi l’apparire conta almeno quanto l’essere.
Della Paton ho già scritto qualcosa a proposito di Lino Tonti ma è sempre una grande emozione trovarsene una davanti.

 Questa poi ha l’aria vissuta di una moto che è andata per davvero e per lungo tempo tra i cordoli.
Un tuffo nel passato per ricordare da dove veniamo senza sapere bene dove stiamo andando.

Ghezzi & Brian al Bike Expo' 2010

E’ una noja mortale mettere ordine nella miriade di foto, appunti e minute che affollano l’hard disk del mio piccì ma ogni tanto bisogna pur farlo.

E così mi sono ritrovato in una cartella dimenticata le foto scattate a Padova o Verona in occasione del Bike Expo’ 2010.
Verona o Padova?
Boh!
Il Bike Expo’ è nato a Padova ma, a seguito di dissapori tra gli organizzatori, ne è nato in contemporanea un clone a Verona.
Non ero a conoscenza di ciò quando mi sono messo in macchina e mi sono avviato alla volta del Veneto per un long week end assolutamente ludico.
Tanto per non saper né leggere e né scrivere li ho visitati entrambi.
Full immersion nel mondo delle due ruote e, a seguire, incontro galante con una splendida signora che ricordo ancora con infinita gratitudine.
Tienila corta, ragazzo; parla di moto e lascia stare i ricordi che tanto non ce ne frega un accidente.
OK, torno a bomba.
Tra quelle foto ho trovato anche quelle scattate nello stand di Ghezzi & Brian.
Oddio, stand è una parola grossa.

Uno striscione, una scrivania, qualche metro quadrato di moquette di un triste color grigio (color "sorcigno" direbbe Pirandello) e qualche splendida moto.
Quanto basta.










Inutile ricordare a chi bazzica un pochino l’ambiente chi sono Giuseppe Ghezzi e Bruno (Brian) Saturno.
La loro azienda nasce nel 1995 in provincia di Lecco si occupa soprattutto di elaborazioni su base Moto Guzzi.
Il bicilindrico a V trasversale, debitamente pompato e vitaminizzato, viene montato su un telaio di una semplicità e di una efficacia esemplari.
Un monotrave a sezione rettangolare e a andamento rettilineo che unisce il cannotto di sterzo al perno del forcellone al quale viene “appeso” il motore che contribuisce ad irrigidire l’insieme.
Un buon telaio, componenti ciclistiche di prim’ordine, cura certosina nell’assemblaggio e nelle finiture e un innegabile senso estetico danno invariabilmente come risultato una buona moto.
Come recitava il “claim” di una reclame di qualche tempo fa: la potenza è nulla senza controllo.
Il telaio di G & B controlla benissimo e rende pienamente sfruttabili i cavalli espressi dal bicilindrico di Mandello anche nella configurazione 1225 cc 8 valvole.
Dopo la Supertwin, vincitrice da subito nella Supertwins nasce la splendida MGS 01 che con Gianfranco Guareschi è ancora la moto da battere nella stessa Supertwins e nella Pro Thunder.
Scusate le allitterazioni ma tant’è…i nomi mica li scelgo io.
Nello stand era esposta una bellissima Sport Monza realizzata con la solita cura – unica caduta di stile, per il mio palato un po’ troppo fine, il cupolino di foggia troppo teutonica – e una “Concept Bike” su base Ducati.
Ducati?
Oggesù, mo’ pure Ghezzi e Brian mi cambiano bandiera?
Vabbe’ che il voltagabbana è di gran moda, ma…
Con molta onestà mi viene spiegato che la moto è stata realizzata da due ragazzi con materiali ultraleggeri e affidata a G & B per la valutazione di una possibile produzione e commercializzazione.










La moto è incompleta ma stupenda: l’incarnazione della mia moto ideale.
Snella, slanciata, essenziale, affilata come una lama di rasoio eppure sensuale … una meravigliosa creatura con cui fare spesso e volentieri del petting spinto su una tortuosa strada di montagna.
Su, ragazzi, diamoci una mossa e vediamo di commercializzarla ‘sta motocicletta.
Se vi accontentate di una vagonata di cambiali sarò io il primo a comperarla.