
La incontro da un concessionario Ducati.
Se ne sta sul cavalletto altera e indifferente, conscia della propria bellezza.
Non ha bisogno di dimostrare niente, non ha bisogno di stupire.
Esiste.
Punto.
Una scritta piccolina sulle carene, niente altro.
E’ più bella di quanto appaia in foto, esprime potenza, agilità, velocità anche da ferma.
Componentistica di prim’ordine.
Forcella, mono e ammortizzatore di sterzo Olhins, impianto frenante full Brembo e quanto di meglio possa esistere nella componentistica.
Lusso sfrenato.


Sotto le carene si intravede appena l’oro dei carter in magnesio.
Quello che altri ostenterebbero viene maliziosamente celato dal succinto vestitino rosso.
Vedo, non vedo…la vecchia semplice regola base della seduzione.
Gran mossa di strategia commerciale quella della Ducati.
Edizione limitata, 60000 - diconsi Euro Sessantamila/00 – per portarsela a casa, per metterla in garage, in salotto, in una teca di cristallo blindato o ovunque si possa mettere qualcosa di tanto prezioso.

Sono bravi quelli di Borgo Panigale, nel giro di un paio di decenni hanno creato uno stile.
Lo stile Ducati.
Onore al merito.

Vestono griffato, abbinano con gusto i colori, non hanno niente di raffazzonato.
Sono una razza superiore.
Anche solo per andare al bar indossano tute di pelle bianco/rossa, casco Arai in tinta, guanti e stivali del merchandising Ducati.
Certi ducatisti sono antipatici.
Antipatici come tutti i primi della classe.
Come tutti gli snob.
Sono un cane sciolto, un nemico giurato del “politically correct” e delle divise.
Lascio la Desmosedici e risalgo sulla vecchia e fida VFR un po’ ammaccata che porta i segni delle sue diciotto primavere.
Spalanco il gas e penso sorridendo che ho sotto il culo un altro 4V sedici valvole che non mi impone altro che essere quel che sono.