CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



martedì 4 settembre 2012

MOTO GUZZI 350 BIALBERO REPLICA



E’ sempre una emozione trovarsi di fronte a moto che hanno fatto la storia del motociclismo e la Moto Guzzi 350 Bialbero in questa storia ha una parte sicuramente rilevante.
Ovviamente questa è una replica ma ciò non toglie niente al suo fascino.
Del resto anche la Moto Guzzi qualche anno fa volle replicare la moto ma il progetto si arenò non per le difficoltà connesse alla meccanica o alla ciclistica ma per la pratica impossibilità di replicare la bellissima carena che in origine era battuta a mano in lamiera di magnesio.
Una bella stampata di ABS avrebbe risolto il problema ma la plastica non si addice a una regina come la Bialbero.
Sono però sicuro che qualche esemplare, per quanto nuda, sia stato prodotto e ora faccia sfoggio di sé in qualche collezione privata.
Questa replica monta la semicarena “a becco” , piuttosto brutta in verità e piuttosto lontana come conformazione da quelle originali, che era propria dei modelli precedenti, quelli, per intenderci, che avevano il telaio a traliccio senza il tubone centrale in funzione di serbatoio dell’olio.


La carena originale “a campana” vista di fronte aveva una conformazione perfettamente ovoidale studiata nella galleria del vento di cui la Moto Guzzi all’epoca era già dotata.
Il primo approccio alla classe 350 avvenne nel 1953 con un motore derivato dal 250  con l’alesaggio portato a 72 mm (317 cc ) e erogante poco più di una trentina di cavalli a 7700 giri.
Con questa moto Anderson vince a Hockenheim e arriva terzo al Tourist Trophy.
Nello stesso anno l’alesaggio venne portato a 75 mm ( 345 cc ) e la potenza sale 33 CV a 7500 giri.
In questa configurazione vincente Anderson e Lorenzetti assicurano alla Guzzi il Mondiale Marche a e a Anderson il Mondiale Conduttori.

Bill Lomas
Colnago al circuito di Ospedaletti


 Nel 1954 fa la sua apparizione la Bialbero derivata dalla 250 che con un Dell’Orto SS da 40 mm eroga 35 CV.
Anche stavolta il Mondiale Costruttori va a Fergus Anderson.

Bill Lomas e John Surtees

Per il 1955 il motore viene derivato dal nuovo 500 Bialbero, è fortemente sottoquadro ( alesaggio e corsa rispettivamente di 80 e 69.5 mm per una cilindrata di 349.34 cc ) e eroga potenze che vanno da 37 a 40 CV.
Nella configurazione finale e con il fuori giri ammesso di 600 giri la velocità massima arriva a 220 Km/h.
Il motore, progettato da Giulio Cesare Carcano ( lo stesso della stupefacente 8V) è un esempio di razionalità, semplicità e efficienza e conservava il caratteristico volano esterno di tutte le Guzzi monocilindriche orizzontali.
Il cambio era a cinque marce.
I carter erano fusi in magnesio mentre cilindro e testata erano fusi in lega di alluminio.
Le prime versioni avevano la canna in ghisa installata con interferenza mentre le ultime l’avevano integrale con riporto in cromo duro.
La distribuzione prevedeva un albero a coppie coniche  e giunto scanalato calettato direttamente sull’albero motore  e azionanti due treni di ingranaggi  cilindrici.
L’angolo minore di 60° tra le valvole era per l’epoca molto chiuso e questo garantiva una camera di combustione che consentiva un alto rapporto di compressione e una elevata efficienza termica.
L’accensione era doppia.


Non era raro trovare a quei tempi angoli tra le valvole compresi tra 90° e 100°; questo per consentire di montare valvole di grande diametro anche se a scapito del rendimento termodinamico.
Quattro o cinque valvole parallele per cilindro sarebbero arrivate molto più tardi.


Il telaio prevedeva un grosso tubo da 85 mm a cui era saldato il cannotto di sterzo dotato di cuscinetti a rulli conici con inclinazione di 23°30’ per una avancorsa di soli 55 mm (valori molto vicini  a quelli delle moderne supersportive); al “tubone” erano collegati due tralicci, uno per il sostegno del motore che così risultava “appeso” per quattro punti alla struttura e uno per la sella e gli ammortizzatori posteriori.


La sospensione anteriore era a ruota spinta con ammortizzatori esterni (Girling) a doppia molla mentre nella moto fotografata sono montati dei banalissimi anche se efficienti  Koni.



La sospensione posteriore era a forcellone oscillante con ammortizzatori teleidraulici prodotti dalla Girling o dalla Sturcher e sembrano originali sulla Bialbero che ho incontrato a Vallelunga.
Le ruote montavano cerchi in alluminio da 19” all’anteriore e 20” al posteriore.
I freni a tamburo anteriori erano doppi da 230 mm e al posteriore c’erano dei tamburi a singola camma da 200 mm.
Una curiosità: il collegamento del freno posteriore al telaio per mezzo di una bielletta, soluzione ideata per limitare il saltellamento della ruota posteriore in frenata e poi adottata universalmente per decenni, è un brevetto Moto Guzzi.
Il serbatoio di grande capacità era diviso in due parti, una superiore e una inferiore.
Il ponte di comando prevedeva uno strettissimo manubri etto ( necessario per permettere al pilota di restare “in carena”), il caratteristico frenasterzo e il contagiri meccanico.


La sella rivestita in pelle era un esempio di eleganza e non stonerebbe affatto su una moderna cafè racer.