CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



sabato 29 dicembre 2007

DUCATI DA CORSA - Ducati 750 SS by Orlando Fusco

Il tempo è galantuomo.
Nel panorama motociclistico mondiale sono passate moto di tutti i tipi, di molte non si ricorda nemmeno il nome.
Altre invece hanno segnato un’epoca, sono state elette ad assumere un posto di primo piano nell’olimpo motociclistico per fascino, prestazioni, soluzioni tecniche brillanti, guidabilità.
La loro immagine, con il tempo, si è impressa in maniera indelebile nella memoria collettiva.
A me quelle moto piacevano e piacciono.
Hanno rappresentato un sogno; irraggiungibili allora per uno studente squattrinato e oggi forse troppo impegnative per un signore di mezza età.
La Ducati 750 SS di diritto e per acclamazione trova posto nella ristretta cerchia delle elette.
Fabio Taglioni le aveva donato un cuore corsaiolo: bicilindrico a L di 90° longitudinale, distribuzione desmodromica comandata da alberelli a coppie coniche, trasmissione primaria a ingranaggi e finale a catena.
Nella versione originale aveva 72 CV a 9500 giri, 220 Km/h.
Tanto motore era ingabbiato in un telaio a doppia culla chiusa dal disegno nitido con quote ciclistiche di riferimento.
Snella come una monocilindrica, essenziale nelle sovrastrutture, sembrava fatta apposta per correre.
Memorabile la vittoria di Paul Smart nel 1972 alla 200 miglia di Imola su una moto derivata strettamente da quella di serie.
Figuratevi se, una volta sentito parlare di un esemplare velocissimo che partecipa al campionato italiano Guppo 5 per Derivate di serie, potevo resistere alla tentazione di andare a dare un’occhiata da vicino.
Prendo appuntamento con il proprietario e preparatore, Orlando Fusco, e armato di macchina fotografica e taccuino vado ad incontrarlo.
Orlando è un vero “gentleman driver”, uno di quelli che corrono per il piacere di farlo.
Ha i capelli grigi e gli occhi di un ragazzo che si illuminano quando parla di moto e della sua in particolare.
Ha ben ragione di esserne fiero, la moto è reduce dall’Endurance di Cartagena e ne ha ancora i contrassegni sulla carena.
Una carter quadri seconda serie, soltanto 250 esemplari prodotti.
Non è stravolta, serbatoio cupolino e codino sono quelli di serie.
Evocativa la banda senza verniciatura sul serbatoio in vetroresina con segnati con il pennarello i riferimenti sui giri percorribili prima del rifornimento.
Segni di un’epoca romantica travolta e superata dalla telemetria e dalle diavolerie elettroniche.
Sono stati ovviamente smontati gli specchietti, il faro, le frecce, la targa e il cavalletto che comunque Orlando conserva.
La moto è “regolarmente” omologata e assicurata; teoricamente potrebbe circolare tranquillamente su strada.
Le modifiche apportate per renderla competitiva, oltre un certosino lavoro di messa a punto, consistono essenzialmente nel montaggio di un kit composto da carburatori, alberi a cammes e scarichi aperti e rialzati forniti all’epoca come parti speciali dalla stessa Ducati.
Chiedo a Orlando notizie sui valori di coppia e potenza rilevati al banco.
Candidamente mi risponde di non aver mai fatto alcun rilevamento strumentale ma di avere un metodo infallibile per la valutazione delle prestazioni: <<…se in pista sono davanti allora va tutto bene, se sono dietro significa che c’è ancora del lavoro da fare. >>.
Impagabile!

sabato 15 dicembre 2007

CARATTERISTICHE MOTO - Guzzi GRISO vs Yamaha MT01

Eccoci di nuovo a parlare di moto che sanno emozionare.
Techno racer, road warrior, streetfighter … c’è gente che si è sbizzarrita a cercare una definizione calzante.
Per noi sono semplicemente due splendide moto.
Niente di speciale per la tecnica, entrambe bicilindriche raffreddate ad aria, entrambe con distribuzione ad aste e bilancieri, entrambe nude, entrambe dotate di componentistica di prim’ordine, entrambe con un design assolutamente non convenzionale.
Bicilindrico a V di 90° trasversale per la Griso, un V stretto longitudinale per la Yamaha mutuato da una custom.
Potenze comparabili, 88 CV l’italiana, 90 la nipponica.
Potenze comparabili ma non altrettanto comparabile il piacere di guida.
Il vecchio air cooled Guzzi, aggiornato e modificato, sa regalare ancora emozioni.
Certamente l’iniezione e l’accensione elettronica, il cardano attivo, i leveraggi del cambio rivisti le hanno regalato una fluidità di guida sconosciuta alle vecchie Guzzi ma le hanno fatto perdere le caratteristiche che avevamo imparato ad apprezzare, ad esempio, nella Le Mans I.
Ci manca il risucchio dei carburatori in fase di rilascio, la coppia di rovesciamento, i saltelli della ruota posteriore in staccata, il drammatico “crunck” della seconda infilata alla disperata e il tiro infinito della terza.
Ora tutto è al posto giusto, il cardano non si sente, le marce entrano da sole, la moto tira a tutti i regimi ma, per dirla tutta,…sembra di essere alla guida di una BMW .
Saremo dei nostalgici? Forse.
Comunque la moto si guida bene, le sospensioni fanno il loro dovere come i freni e come tutto il resto.
In curva ci si disimpegna senza problemi particolari, la Griso come le sue progenitrici, preferisce i curvoni in appoggio ma se la cava benissimo anche nel misto stretto e in città a dispetto dei quasi 230 Kg.
Un “bravissimi” ai tecnici Guzzi.
Il motore della Yamahona invece non emoziona più di tanto a dispetto dei quasi 1700 cc, a parte un picco tra i 4500 e i 5000 giri…è piatto.
La ciclistica di riferimento per la categoria ( ammesso che si possa parlare di categoria per queste due moto ) avrebbe meritato qualcosina in più.
Avantreno della R1, telaio pressofuso con tecnica innovativa, forcellone infulcrato all’esterno del telaio e tante piccole chicche rendono la MT01 davvero ciclisticamente superdotata.
Da vecchi tuner ci facciamo una domanda: …ma il motore della Buell XB12R ci starebbe in quel telaio?
All’esame statico possiamo dire che la Yamaha ha osato qualcosina in più della Guzzi.
Entrambe sono assolutamente innovative anche se la Yamaha si richiama per molti versi alla mai dimenticata Bulldog mentre nella zona tra serbatoio e testate della Griso sembra di intravedere qualcosa della Centauro.
Entrambe hanno dato enfasi agli scarichi – magari li avremmo preferiti un tantino meno educati – la sella della giapponese sembra essere sorretta dai due mega megafoni in titanio.
Belli davvero.
Il gigantesco trombone della Guzzi invece non ci convince.
Non ci convince la sezione dei due tubi di scarico nel punto di attacco alle testate – si vede che è stata artificiosamente aumentata – ancora meno ci convince la curva del collettore al di sotto del cambio – sembra fatta apposta per riempire il gradino tra coppa dell’olio e la ruota posteriore.
Forse uno scaricozzo made in Ghezzi&Brian sarebbe stato più adatto.
Non ci convince nemmeno lo scambiatore posto a lato del basamento.
Sembra posticcio.
Chissà come sarebbe apparsa la moto se lo avessero piazzato in una appendice aerodinamica posta davanti al motore?
Le masse sarebbero state di sicuro più centralizzate.
Per entrambe avremmo preferito dei portatarga meno monumentali e degli specchietti che non assomigliassero alle antenne del Grillo Parlante.
Per la Griso avremmo preferito dei cerchi di disegno meno convenzionale e un codino dalla curva inversa a quella attuale.
Per la MT01 ci sarebbe piaciuto avere la strumentazione incassata nel faro o sul dorso del serbatoio, dei riser un tantino più alti e tali da consentire l’adozione di un manubrio bello dritto.
Allo stesso modo ci sarebbero piaciuti dei convogliatori dinamici al posto dei coperchi cromati sulle prese d’aria sul telaio.
Via, siamo incontentabili, tutto sommato si tratta di piccoli nei su dei prodotti assolutamente di pregio.
E’ normale, le case motociclistiche devono essere attente ai gusti del pubblico e alle vendite.
Al resto pensiamo noi tuner.

venerdì 14 dicembre 2007

TUNING MOTO - CAGIVA RAPTOR FAST & FURIOUS


La Cagiva Raptor è la dimostrazione di come dalla stessa matita possano essere partoriti un fenomeno su scala mondiale un mezzo flop.
Miguel Galluzzi, designer argentino, ha contribuito alla rinascita del settore “naked” con la Ducati Monster che con il tempo è diventato un vero e proprio fenomeno di costume.
Dopo la cessione agli americani della Ducati da parte del gruppo Cagiva, si rimise al lavoro disegnando la Raptor.
Intorno al motore della Suzuki TL1000 disegnò una moto che ricordava la monster nella sua essenzialità ma che aveva contenuti tecnici diversi.
Raffreddamento ad acqua, telaio in tubi dall’andamento nervoso, comparto freni e sospensioni all’altezza della Ducati, 122 CV, design decisamente equilibrato.
La Raptor fù accolta molto tiepidamente ed è sempre rimasta confinata all’apprezzamento di pochi aficionados.
Andando a spasso per il Montefeltro non è stato possibile non notare la Raptor di Simone benché sommersa da una montagna di bagagli.
L’elaborazione della moto è stata curata da Fast & Furious.
Il telaio posteriore è stato tagliato per permettere il montaggio di una sella Monster rialzata, manubrio pure di derivazione Monster su risers originali, comandi al manubrio e parafango della 916, cerchi Marchesini.
Come se il motorone Suzuki non fosse già abbastanza turbolento di suo si è provveduto a sostituire cilindri e pistoni originali con quelli del TL 1000R, centralina Power Commander, filtri BMC e scarichi in carbonio Sil Motor tagliati hanno permesso il raggiungimento della ragguardevole potenza di 150 CV.










Una volta in moto il sound è davvero formidabile accompagnato da tanto di fiammate allo scarico ad ogni apertura di gas.
Il marchio MV Agusta sul serbatoio non è un vezzo in quanto questa Società è proprietaria del marchio Cagiva.

Vai alla scheda tecnica e al video  CAGIVA RAPTOR 1000

MOTO DA CORSA - MOTO GUZZI 750S Seconda parte

Dopo che ebbi pubblicato l’articolo sulla Guzzi 750S su Motospecialart fui contattato per interposta persona da Luca Viola. Luca è un gentleman driver, uno che ha la moto nel sangue. Collabora da tempo con Bimota e con la sua organizzazione Run X Fun organizza corsi di guida sicura su strada e in pista, oltre a corsi avanzati di pilotaggio presso i circuiti di Misano, Adria, Magione, Mugello, Isam. <<…quella è la mia Guzzi, quella che ho costruito io, quella con cui ho corso a Daytona nel 1997…>> Ci incontriamo a Roma per “Fuoridigiri”, mi fornisce un po’ di materiale fotografico e mi racconta la storia della moto. <<…non avevo mai valutato le Guzzi come moto per correre abituato come ero alle Ducati ma quando capitò l’occasione decisi di metterne su una che andasse davvero forte…>>. Il telaio è quello di una V7 Sport del 1972, il forcellone quello di una Le Mans I – il più corto di tutta la produzione Guzzi, il cannotto di sterzo è stato tagliato e riposizionato per avere una inclinazione di appena 22° e una avancorsa di soli 88 mm, il reparto sospensioni conta su una coppia di Koni a doppia regolazione ( a Daytona ne furono montati due con molle di taratura diverse in quanto si gira sempre dallo stesso lato e Luca non è esattamente un peso piuma ) e su una forcella Ceriani GP da 38 mm montata su piastre di provenienza Ducati Pantah con avanzamento degli steli di 35 mm. A proposito della forcella Luca racconta che di averla comprata da Forcelle Italia – che aveva appena rilevato in blocco il materiale giacente nei magazzini della Ceriani – per circa 700.000 delle vecchie lirette. La forcella era verniciata di nero e solo dopo averla montata si accorse che dalla vernice scrostata spuntava l’oro del magnesio. Infatti nelle foto scattate a Daytona si vedono ancora i residui della verniciatura sul prezioso metallo. Davvero uno splendido acquisto! I cerchi sono degli Akront in alluminio a bordo rinforzato con canale da 2,75” con pneumatico 110/80/18 davanti e 3,50” dietro con gomma 4,50/18. Al posteriore c’è il mozzo originale Guzzi mentre all’anteriore il cerchio è montato su un mozzo in elektron di derivazione Honda GP. Una vera chicca. I freni sono dei Brembo da 300 mm. con pinze sempre Brembo a doppio pistoncino contrapposto. Il serbatoio è quello originale della V7 Sport, la sella e l’imbottitura sono opera di Gianni Ramini, il cupolino è quello di un Ducati SS e il contagiri è un Veglia meccanico da competizione. Tutte le lavorazioni relative alle pedane e ai relativi rinvii, alla scatola del cardano, alle piastre di supporto delle pinze sono di Paolo Dragoni che per una volta si è allontanato dalle sue amate BMW ( poi però ci ha preso gusto e ha preparato anche una magnifica special su base Le Mans I per il fotografo Gianni Galassi ). Il motore è stato preparato da Bruno Scola, indiscusso numero uno nella elaborazione dei twin di Mandello e padre della serie Le Mans quando era a capo del Reparto Esperienze Moto Guzzi, e vanta: blocco motore della V7 Sport, albero motore riequilibrato e cilindri della LM 850, albero a cammes B10 di Scola, testate della SP1000 per garantire miglior riempimento, valvole maggiorate da 52 e 47 mm rispettivamente per aspirazione e scarico, le molle sono invece quelle rinforzate della Porche 924 in mimonik, i bilancieri sono equilibrati ed alleggeriti, alimentazione con due carburatori Dell’Orto PHM da 40 mm rialesati a 41,8 mm, la frizione alleggerita è dell’olandese Kempen, il cambio a denti dritti di una LM DD e l’accensione Dyna single fire. Per evitare la grossa batteria a perdere necessaria per le gare di durata, Luca ha montato un alternatore dello spessore di soli 19 mm protetto da una lastrina di plexiglas e una batteria da scooter.
Luca racconta di Daytona: <<…a partire eravamo in sessanta, tenendo sempre il gas aperto e senza problemi di sorpasso, vista la larghezza della pista, superavo man mano quelli che avevo davanti fin quando ho cominciato a crederci. Mi sono trovato, a pochi giri dalla fine, secondo e sentivo ad ogni passaggio l’altoparlante urlare il mio nome in rimonta…>> La V7 Sport è stata cronometrata a 257 Km/h e ha raccolto lo standing ovation da parte dei 150000 spettatori.
E’ arrivata seconda alle spalle di una Yamaha OW31 due tempi e quattro cilindri, vera moto da GP, finita chissà come tra le derivate di serie e precedendo una Triumph Trident. La moto è stata poi venduta da Luca Viola al pilota romano Alessandro Giorgio e di qui al nostro Daniele Parravano che ne cura la messa a punto.

domenica 2 dicembre 2007

STORIA DELLA MOTOCICLETTA - HONDA RCB

















Lo ammetto, sono un nostalgico.
C’è stato un periodo, negli anni ’70, in cui tutte le case motociclistiche si cimentavano nelle gare di durata.
L’Endurance.
Circuiti dai nomi famosi… Le Mans, Bol D’Or, Montjuiich, Nurburgring, Monza, Imola Thruxton… e moto altrettanto famose… Laverda SFC, Guzzi, Honda RCB, Triumph Trident, Ducati.
Quelle moto, per me ragazzotto montato su monocilindriche nostrane, avevano un fascino particolare, mi hanno fatto sognare e mi sono rimaste nel cuore.
Carene protettive, coppia di faroni Hella esterni, scarichi aperti e un aspetto strettamente legato alla funzionalità e alla essenzialità delle corse che poco lasciava alla esteriorità.
Niente a che vedere con la levigata immagine dei moderni bolidi da GP, nessun motorhome, nessuno sponsor, nessun monitor con i tempi, niente telemetria …solo la moto, l’olio, la benzina, il cronometro e l’orgoglio che vince la notte infinita e la stanchezza.



Serbatoi enormi con la striscia di vetroresina lasciata senza verniciatura per il controllo rapido del livello carburante, staffette di sostegno evidentemente autocostruite, nastro isolante ( quello bianchiccio e appiccicoso che usava una volta sulle manopole ) e soprattutto una riconoscibilità senza uguali.
Le riconoscevi al volo erano parenti strette di quelle che giravano liberamente sulle strade.

Le riconoscevi guardandole e le riconoscevi dal rombo.
Quello ritmato delle Guzzi, quello piu’ cupo delle Laverda, quello inconfondibile delle Ducati, il vocione rauco delle Trident, l’ululato lancinante delle quattro cilindri Honda.

Ho vissuto una di queste corse, ho detto ai miei che non sarei tornato dall’università quel fine settimana, e con quattro soldi e stipati in un 128 Fiat di un amico siamo andati a Imola.
Dopo un po’ avevo imparato a riconoscere i piloti dal rumore.
Erano lunghe le ore dell’Endurance, acciacchi vari e riparazioni estemporanee facevano acquistare ad ogni moto un timbro unico.
Ma di cosa avrei voluto parlare?
Mi sono fatto prendere dai ricordi.
A cinquant’anni si comincia ad invecchiare e i vecchi si sa… Ah, ecco, si…della Honda RCB.
Era bella la Honda…eggià quelli c’avevano i soldi.
Livrea rossa con le righine bianche e blu.
Iconfondibile.
Al suo esordio nel 1976 c’era uno staff di circa trenta persone.
Un numero esorbitante considerando che squadre di primaria importanza come Laverda e Ducati si fermavano a circa 10.
L’avevano elaborata sulla base della CB 750 e poi su quella della Bol D’Or.
Cilindrata portata a 1000 cc, testa bialbero, trasmissione primaria modificata da catena duplex a ingranaggi, albero motore montato su cuscinetti e non piu’ su bronzine, accensione elettronica, telaio rivisto, quattro Keihin a depressione da 34 mm, potenza di circa 120 CV, 170 kg, 270 Km/h. Niente male per una nonnetta di trenta anni fa.
Restava la lubrificazione a carter secco e serbatoio dell’olio nella triangolazione del telaio ispirato, come per la CB750, al mitico Featherbed ( almeno nelle prime versioni, in seguito divenne “perimetrale”).
Evocativo il tappo del rifornimento dell’olio sulla parte destra del serbatoio.
Il carter secco se da un lato limitava l’ingombro verticale del motore era in effetti l’unico punto debole della moto.
Frequenti le perdite d’olio e le rotture.
La RCB con piloti come Leon, Chemarin, Woods, Williams ha dominato il campionato Endurance da ’76 all’80.
Però questa è soltanto storia e le fredde cifre sono reperibili pescando su un qualsiasi motore di ricerca.
La RCB è stata a mio avviso il trait d’union tra l’epoca pionieristica dell’Endurance e l’epoca attuale dominata dal peso economico, strutturale e organizzativo delle Case nipponiche.
A me interessano le emozioni, le statistiche e le classifiche le lascio ai Dotti che le conoscono a memoria.

MOTO DA CORSA - MOTO GUZZI 750S Prima parte

L’incontro con Orlando Fusco ha avuto una coda estremamente piacevole, la possibilità di ammirare una splendida Guzzi 750S del 1971 preparata per correre nella classe Open.
Credo che ormai la mia passione per le moto classiche non sia piu’ un segreto per chi ha avuto la pazienza di leggermi.
Tra le quattro cilindri Honda, i Kawa 2 tempi, i bicilindrici siano essi a L, boxer o frontemarcia il V trasversale di Mandello occupa un posto speciale nel mio cuore.
Credo che la V7 Sport e le sue dirette discendenti - 750S e Le Mans - siano state le moto sportive per eccellenza degli anni ‘70 e ’80 e che conservino ancora intatto tutto il loro fascino.
Basse, filanti e possenti trasmettevano una sensazione di potenza compressa e di solidità a tutta prova.
Una volta in sella la sensazione si trasformava in realtà; il telaio di Tonti teneva la moto in strada come se fosse su binari e il motore aveva un tiro inesauribile.
Fantastica la sensazione che ho provato la prima volta in sella a una V7 Sport a sentire il motore entrare in coppia a meno di duemila giri e mantenerla fino alla soglia dei settemila.
Figuratevi se mi lasciavo scappare l’occasione di fare qualche scatto e scambiare quattro chiacchiere con il suo preparatore, Daniele.
La linea non è stata stravolta, il bel serbatoio originale sta benissimo anche in questa elaborazione corsaiola, il codone monoposto e il cupolino in resina si amalgamano perfettamente.
Ad emozionare è comunque la verniciatura verde legnano abbinata al telaio rosso.
Riuscite ad immaginare una colorazione più appropriata per una Guzzi sportiva?
La ciclistica vanta pezzi di assoluto pregio, il telaio è di un Le Mans I in tubi al Cr/Mo, la forcella Ceriani GP da 38 mm con foderi in magnesio completamente regolabile, i cerchi Tecnomagnesio da 18”, gli ammortizzatori Koni regolabili, i dischi Brembo da 300 mm accoppiati a pinze sempre Brembo a due pistoncini contrapposti.
Il motore, spogliato di tutto ciò che non serve per correre ha ricevuto una cura ipervitaminica:
Cilindrata portata a 1000 cc, 92 mm e 78 mm i valori di alesaggio e corsa.
Pistoni Wiseco a due segmenti.
Valvole da 50 mm e 43 mm
rispettivamente per aspirazione e scarico.
Terna di distribuzione in ergal.
Cammes Megacycle.
Volano alleggerito,
Albero motore alleggerito e equilibrato.
Condotti di aspirazione e scarico raccordati e lucidati.
Circuito dell’olio modificato.
Accensione elettronica Dyna.
Cambio racing a denti dritti.
Carburatori Dell’Orto PHL da 41.
Collettori di scarico e terminali realizzati da Galassetti su specifiche del preparatore.
Pedane, piastre e vasca raccogliolio artigianali in alluminio.
Non sono ancora disponibili valori di potenza e coppia in quanto la moto è stata appena terminata ma vi lascio immaginare.
Ma a colpire è soprattutto la cura maniacale usata per assemblare il tutto tipica di chi ama veramente il proprio lavoro.
Come non notare i paracilindri e la foratura effettuata sulla scatola del cardano, sulla leva del freno posteriore e sul rinvio del cambio?
Bravo davvero.

MOTO DA CORSA - HONDA 500 Four by Giuseppe Battisti

L’avevo già vista.
Nella vetrina di un concessionario Honda.
Impossibile non notarla anche tra tante moto più giovani e performanti.
Se ne stava li con la sua livrea azzurra, essenziale come è logico aspettarsi da una moto da competizione ma aggraziata pulita curata snella e aggressiva.
Una Honda 500 Four messa giù da brivido per le gare per Moto Storiche Gruppo 5.
Mi sono ricordato di lei quando stavamo organizzando la presentazione di Motospecialart presso il circuito ISAM di Anagni (FR).
Un salto dal concessionario per informazioni, un colpo di telefono…affare fatto.
Il sabato mattina arriva il furgone, apriamo gli sportelli ed eccola, splendida come la ricordavo e, come ogni nobildonna che si rispetti, accompagnata dalla sua dama di compagnia – un’altra 500 Four verde utilizzata come muletto nei campionati disputati.
Un’altra splendida creazione del suo preparatore Giuseppe Battisti.
Embe’, direte, una moto da corsa è una moto da corsa, che c’azzecca con le special?
Cari miei, ho visto moto da corsa efficaci e velocissime ma sgraziate e brutte da non potersi guardare.
Mi ripeto, questa, oltre che velocissima è bella.
Anche se non fosse elaborata attirerebbe sguardi concupiscenti parcheggiata davanti a qualsiasi bar.
La tiriamo giù dal camion, la posizioniamo sul cavalletto e finalmente posso ammirarla in santa pace.
Niente fili in vista, fascette a strappo disseminate qui e là, nastro adesivo o particolari trascurati.
Tutto è pulito ed ordinato, la verniciatura, gli accoppiamenti, i trattamenti superficiali delle parti metalliche.
Lo splendido serbatoio in vetroresina Bimota si accompagna ad un codino e ad una carena autocostruiti sempre in vetroresina.
L’armonia è tale da sembrare frutto di un progetto unitario.
Bravo.
Esaminandola più accuratamente, in linea con il carattere schivo del suo creatore, appare la ricchezza non ostentata.
Il forcellone Bimota in alluminio è stato verniciato in azzurro come la carrozzeria, i mozzi – frutto di ore e ore passate al tornio – hanno subito un trattamento che ne offusca l’originaria lucentezza, i carter sono stati pallinati, i dischi hanno subito un processo di zincatura.
Brillano soltanto i cerchi in alluminio a bordo rinforzato.
La moto, del 1973, è stata modificata nel 1997 e ha disputato la stagione 1998 classificandosi quinta nel campionato Moto Classiche Gruppo 5 pilotata da Maurizio Compagnone, poi qualche anno di pausa e nel 1993 vince il campionato pilotata da Carlo Zamperini.
Per ciò che riguarda l’elaborazione meccanica lascio che sia lo stesso Giuseppe Battisti ad elencarle.
- Carburatori Keihin CR con diffusore da 29 mm
- Pistoni ad alta compressione, rapporto 12,3:1
- Albero a cammes Yoshimura
- Valvole speciali aspirazione 29 mm e scarico 24 mm
- Albero motore … qui Giuseppe tace, è un suo segreto
- Cambio a denti dritti ravvicinato
- Forcella di serie ma con molle speciali ed idraulica rivista
- Ammortizzatori posteriori Koni regolabili
- Potenza: 54 CV alla ruota (!)
- Scarico aperto a tromboncino con controcono
Mi dispiace solo non averla vista girare o potuta provare.
Quale occasione migliore con la pista li a dieci metri?
Secondo Giuseppe non era perfettamente a punto ma credo che sia stato un modo elegante di glissare.
Detto tra noi, avrei fatto esattamente lo stesso.
Chi avrebbe messo in mano ad un dilettante un tale gioiello?
Vabbè, pazienza, c’ho provato.



 Scheda tecnica HONDA CB 500 Four

CARATTERISTICHE MOTO - CONFEDERATE "RENOVATIO"

Saltabeccando per il web ci siamo imbattuti nel sito della "Confederate", Azienda motociclistica con sede a New Orleans.
Il sito si presenta un gran bene, grafica in bianco e nero, elegante e ottimamente realizzato.
La scritta in alto “ Art of rebellion “ ci ha intrigato.

Belle moto, belle foto, tecnologia ad altissimi livelli almeno per quanto riguarda la ciclistica.
Piacevole e d’effetto la forcella anteriore a quadrilatero deformabile della Wraith; Due piastre in carbon-kevlar, della cui rigidità siamo assolutamente convinti, a sostenere la ruota anteriore, elementi oscillanti in alluminio e titanio, monoammortizzatore completamente regolabile.
Come omaggio all’industria italiana ci sono un bel paio di Dell’Orto PHM da 40 mm, con tanto di cornetti di aspirazione in alluminio, e un impianto frenante "full Brembo" serie oro.
Ancora più interessante il progetto della Renovatio che abbandona il twin HD per un bicilindrico longitudinale a 90° con raffreddamento a liquido e iniezione elettronica sequenziale.
La Renovatio mantiene lo schema a quadrilatero deformabile all’avantreno della Wraith mentre il telaio è composto essenzialmente da quattro piastre in lega leggera ancorate al propulsore che quindi assume una funzione stressata.
Niente di particolare al retrotreno, monobraccio, monoammortizzatore, beveraggi progressivi.
Da notare la notevole lunghezza del monobraccio, infulcrato praticamente sotto al motore, la centralizzazione delle masse e l’avancorsa ridottissima che fanno immaginare una moto estremamente reattiva e gradevole da guidare nel misto stretto.
Dai disegni non si capisce che tipo di scarico abbiano intenzione di realizzare alla Confederate per questa moto.
D’effetto il serbatoio, solidale alle piastre anteriori del telaio, e la sella, evidentemente ispirata alla cultura custom, ancorata elasticamente alle piastre posteriori.
Probabilmente si tratta di un puro esercizio di stile e se la moto andrà effettivamente in produzione alcune delle soluzioni dovranno essere riviste in fase di ingegnerizzazione.
E’ piacevole notare come quelli della Confederate abbiano inserito una serie di disegni che vanno dallo schizzo iniziale agli schemi per lo studio delle quote ciclistiche, a un realistico 3D al CAD e infine un bel rendering in bianco e nero.








MOTO DA CORSA - GUZZILLA

La produzione di moto veramente sportive della Moto Guzzi, quando questa - insieme alle altre case italiane, MV Agusta esclusa - decise di abbandonare le competizioni, era limitata ai mezzi destinati alle corse.
Le punte di diamante erano due moto progettate da Giulio Cesare Carcano.
La stupefacente 500 “8 cilindri”, probabilmente una delle moto più complesse mai realizzate, e la 350 Bialbero, monocilindrica, semplicissima e terribilmente efficace.
Fino all’avvento delle bicilindriche a V di 90° trasversale la produzione si trascinò su modelli monocilindrici, semplici, affidabili ma certamente non all’altezza delle tradizioni sportive della Casa.
L’incontro del motore V7 con il telaio a doppia culla continua progettato da Tonti diede origine alla stirpe delle sport, dalla mitica Telaio Rosso alle Le Mans.
Per alcuni anni queste furono il riferimento assoluto per la concorrenza e conquistarono anche alcuni record mondiali tuttora detenuti.
Con lo smantellamento del Reparto Esperienze e l’avvento dei costruttori giapponesi le grosse bicilindriche finirono per essere relegate ad un ruolo di secondo piano amate ed ammirate da una ristretta cerchia di aficionados.
Male per la Guzzi ma bene per noi, quegli appassionati usarono quelle moto un po’ vecchiotte e dal gusto retrò come base per la costruzione di special stupende.
Un dentista americano noto come Dr. John, sostituì la distribuzione ad aste e bilancieri del modello di serie con una efficacissima distribuzione a doppio albero a camme in testa, quattro valvole per cilindro, comandata da cinghie dentate.
Si tolse così lo sfizio di tornare a bastonare giapponesi ed americani a Daytona.
La distribuzione ideata dal Dr. John fù adottata dalla Moto Guzzi e montata su un modello battezzato appunto “Daytona”.
Commercialmente questa fù un fiasco, interasse chilometrico, peso eccessivo e incertezze di erogazione ai regimi intermedi ( proprio quelli che avevano fatto la fortuna della serie V7 ) ne decretarono il pensionamento.
Per fortuna in ogni parte del mondo preparatori privati continuarono con successo a sviluppare il possente bicilindrico accoppiandolo a ciclistiche sopraffine creando dei modelli in grado di dire la loro nel BOTT, nel Classic Bears e nei campionati nazionali.
Herr Jens Hofmann, patron della Dynotec, appassionato da sempre dei bicilindrici di Mandello, ha sottoposto la Daytona ad una efficace cura dimagrante e tonificante.
Il risultato è la GUZZILLA, nome che, a dir la verità, non è un granchè.
Ci piace molto di più, invece, Il dinosauro con i pistoni sugli arti superiori.
A mandarci letteralmente in brodo di giuggiole è la moto.
Prendendo come base di partenza il telaio originale Daytona, Herr Hofmann ha sostituito il forcellone originale con uno in alluminio, sotto il codino, minimale, brilla l’oro di un mono Ohlins posto orizzontalmente.
Della stessa casa svedese è la forcella upside down con riporto al TIN, cerchi da 17” in lega della PVM – 3.50” e 5.75” rispettivamente l’anteriore e il posteriore – dischi da treeventi flottanti, sempre della PVM, con pinze a sei pistoncini davanti e dueeventi con pinza a due pistoncini dietro.
A raffreddare i bollenti spiriti dell’air cooled provvede un radiatore dell’olio Simantke con tecnologia mutuata dalla F1.
Il motore è stato potenziato mediante la installazione di gruppi termici, prodotti dalla stessa Dynotec, con pistoni da 100 di alesaggio e 82 di corsa – cilindrata totale 1288 cc.
Frizione rinforzata, valvole in carbonio da 40 e 30 mm., lucidatura manuale dei condotti, alberi a cammes specifici Dynotec, nuova centralina elettronica, condotti ram air in carbonio, iniezione elettronica con corpi farfallati da 58 mm hanno alla fine condotto ad una potenza di poco inferore ai 160 Cv.
Al di la dei dati numerici, peraltro di rilevanza assoluta, ciò che salta agli occhi è che la moto è bella.
Bella di una bellezza aggressiva, le sovrastrutture rigorosamente in carbonio, si raccordano elegantemente e si sovrappongono al possente motore creando un insieme armonico che non tradisce ma anzi esalta l’immagine di potenza e stabilità propria delle Guzzi.
Il gibboso cupolino - chissà perché ci viene in mente la CM 250 Sport di Mario Cavedagni – fa corpo unico con l’affilato serbatoio e si sposa alla perfezione con il forcellone a banana.
Non è solo una moto nata per correre ma anche un esemplare esercizio di stile.
Ci rimane solo un dubbio: ma…lo scarico a canne mozze dietro al basamento è un’idea originale di Herr Jens Hofmann o del Signor Giuseppe Ghezzi?

MOTO TUNING - Genesi di una special ( Moto Guzzi 850 T5 )

Quella con le T5 Moto Guzzi è una vecchia storia d’amore.
Ne avevo già avuta una bellissima, rossa, prosperosa, carenata Stucchi, un vero gioiello.
Con lei ho macinato decine di migliaia di chilometri senza nessun inconveniente particolare.
Ma un giorno mi tradì, si incollarono le pasticche e caddi.
Una caduta banale, in città, a dieci all’ora, nessun danno serio.
La riparai ma ormai l’incantesimo era rotto.
Non riuscii più ad avere in lei la fiducia incondizionata che avevo sempre avuto e, seppure a malincuore, la vendetti.
Ebbi altre moto a due e quattro cilindri ma la Guzzona mi mancava.
Mi misi in cerca di una sostituta, la volevo in buone condizioni meccaniche ma con la carrozzeria abbastanza malandata da non far piangere il cuore a “pasticciarla”.
Mi dissero che un ispettore della Polizia Portuale di Genova ne aveva in vendita un paio ex Polstrada.
Telefonai, contrattai il prezzo – 550 euro cadauna -, presi il furgone e via alla volta della Liguria.
Una volta nel garage le misi in moto, i big twin trasversali giravano come un orologio…bene!
Mi tenni la più malmessa esteticamente e vendetti l’altra, ne ricavai un piccolo guadagno che mi coprì le spese della trasferta.
Il motore girava benissimo ma l’estetica e la componentistica erano da far venire le lacrime agli occhi.
Forcellina da 35, dischi pieni in ghisa pesanti quanto mezza moto, forcellone rachitico e lungo quanto una quaresima, cerchi in lega (?) tanto stretti quanto brutti, carenona costruita pensando alla vela maestra della Amerigo Vespucci, borsoni in lamieraccia, pedane da Harley … totale 270 kg a secco.
Mostruosa!
A qualcuno questo tipo di moto piace ma io le mie le preferisco svelte, leggere, performanti, maneggevoli, ben frenate e con componenti ciclistiche di prim’ordine.
Mi divertii come un maialino nella palta a smontare e buttare via tutto quanto ritenni superfluo o non adeguato all’idea di moto che avevo in mente.
L’idea era di fare una moto più leggera di una Le Mans ma che non assomigliasse a una Le Mans qualsiasi…obiettivo: 180 Kg.
Alla fine mi ritrovai solo con lo splendido telaio disegnato da Lino Tonti e il motore.
Assolutamente convinto di quanto asserito da chi di moto se ne intende davvero e secondo i quali “pompare” un motore senza avere una ciclistica adeguata è il modo migliore per lasciare prematuramente questa valle di lacrime, mi do da fare.
Mi procuro i cerchi di una T5 stradale a cinque razze di disegno più elegante e larghezza dei canali umana.
Un amico che ha appena smesso di andare per cordoli mi vende la forcella da 41 mm della sua GSXR 1100 anni ‘80 con idraulica modificata da Andreani e molle Hyperpro.
Appena tre “click” per il precarico molla e tre per la regolazione dell’idraulica ma ho sempre avuto un gran rispetto per le sospensioni Suzuki.
Per i freni voglio un paio di padelloni da treeventi e per fortuna ho in casa una coppia di dischi semiflottanti del Kawa ZXR 1000.
Tengo buone anche le pinze a quattro pistoncini della Gixer.
Le piastre di sterzo della Suzuki mi sembrano un tantino leggerine per cui decido di alesare a 41 mm quelle originali Guzzi in modo da lasciare invariati i valori originali di avancorsa e avanzamento degli steli.
Magari più avanti monterò i cuscinetti di sterzo disassati di Magni per ridurre di un grado l’inclinazione della forcella e rendere l’avantreno più reattivo.
Carico tutto in macchina e vado dal mio tornitore di fiducia, Tarcisio.
Tarcisio mi vuole un gran bene e per questo non mi caccia a pedate ogni volta che entro nella sua officina con una carriolata di ciarpame e qualche idea strampalata in testa.
L’officina è da archeologia industriale, niente CNC, laser o diavolerie del genere ma tornio e fresa, benché vetusti, funzionano egregiamente e lui è uno che sa davvero il suo mestiere.
Tra un mugugno e una chiacchiera, tra un bicchiere e un moccolo l’avantreno prende forma. Fresatura dei mozzi, piastre in Ergal 7075 da 10 mm per adattare dischi e pinze, spessori in AISI 316 e alla fine gli allineamenti sono perfetti.
Per non sprecare un rettangolino di ergal avanzato mi costruisce una piastra stabilizzatrice tra i foderi forcella per evitare svergolamenti e rendere l’avantreno ancora più rigoroso.
Lo costringo a modificare i leveraggi del cambio per adattarli a una coppia di pedane e leve Tarozzi per Kawa 900 che ho ripescato tra le cianfrusaglie ammassate in garage.
Lo fa in maniera egregia senza smettere di smoccolare contro i pazzi che un destino crudele fa capitare nella sua officina.
Dal momento che la frenata integrale Guzzi originale è più adatta ai molleggioni California che alle staccate assassine sui tornanti di montagna, decido di mandare in pensione la pompa freni antero/posteriore e relative tubazioni in ferro in favore di un’altra prelevata da una Aprilia RVS 1000.
Il buon Tarcisio adatta anche quella.
Il conto che mi presenta alla fine è simbolico: 100 euro, un paio di bottiglie di rosso e la promessa (ovviamente disattesa) di non farmi più vedere nei paraggi almeno per i dieci anni a venire.
Per il retrotreno conservo gli ottimi Koni originali a doppia regolazione ma monto un forcellone Le Mans I, il più corto di tutta la produzione Guzzi, maggiorato e modificato per le gare Gruppo 5.
Un pezzo splendido in grado di ospitare pneumatici da 150/70 ( oggi tale misura fa sorridere ma all’epoca era avanti anni luce rispetto alle gommette da 120 montate su tutte le Guzzi, anche sportive ).
Butto via anche il disco posteriore in ghisa in favore di uno per T5 stradale inox da 242 forato.
E’ ora di pensare alle sovrastrutture.
Ho sempre bene in mente il limite dei famosi 180 chili per cui sella, serbatoio, cupolino e parafanghi dovranno essere in vetroresina.
In Germania trovo una sella che mi piace, snella, abbastanza comoda per due pur avendo un gradino piuttosto alto tra le due sedute e abbastanza retrò da adattarsi senza crisi di rigetto alla Guzzona.
La sella a due posti non è il massimo, di solito non mi piace portarmi dietro zavorre ma… non si sa mai.
Con un lamierino di alluminio completo l’opera costruendo i supporti sella e un sottocoda ad hoc.
Per il serbatoio il discorso si fa serio, provo quello del Le Mans I ma il taglio posteriore tipico Guzzi non si adatta alla sella, oltretutto è in lamiera e pesa una tonnellata.
Voglio qualcosa di diverso, snello, con incavi profondi, che si adatti alla mia taglia XXL , che non mi faccia guidare a gambe aperte e che mi eviti di urtare le ginocchia ai cilindri ad ogni staccata.
La provvidenza non ha limiti, in questo caso si prende il nome di Vladimiro.
Pittore, scultore, arredatore, architetto di interni, esperto di tutto quanto sia arte e profondo conoscitore delle tecniche realizzative,Vladimiro è un artista a tutto tondo e soprattutto un amico.
Tra le sue innumerevoli esperienze c’è anche quella di lavorare la vetroresina fatta quando si occupava di scenografie per il cinema.
Inizio un periodo full immersion sulla tecnica, mi faccio una cultura di sottosquadri, stampi e controstampi, resine acriliche e poliestere, primer e distaccanti, stucchi e sigillanti.
Per fortuna imparo in fretta e la manualità non mi manca.
Al CAD preparo un disegno preliminare con le misure fondamentali e ne ricavo una serie di sezioni che poi realizzo in compensato.
Provo lo scheletro di serbatoio ottenuto sul telaio: perfetto!
Ora non mi resta che riempire i vuoti con del poliuretano, stuccare e carteggiare, creare con la resina acrilica i quattro controstampi necessari per la sformatura, stendere il distaccante, applicare i vari strati di feltro in vetro e resina poliestere, sformare, rifinire i gusci, unirli, stuccare e sigillare, fare la prova idraulica e applicare il fondo per la verniciatura.
Due mesi di lavoro ma il risultato mi soddisfa.
Provo a salire in sella…la moto mi va a pennello come un vestito di sartoria.
Provo un paio di manubri, un Magura a M e un drag bar avanzato dal Kawa 750 tre cilindri e due tempi.
Il Magura è più cattivo ma il largo drag bar promette un miglior controllo sul misto…deciderò in seguito.
Con il solito lamierino di alluminio provo a costruire una piastra per montare la strumentazione originale. Perdo una barca di tempo e il risultato è così così… credo che alla fine finirò per montare un solitario contagiri Veglia da 100 mm meccanico da competizione a fondo bianco
Continua…

Vai alla scheda tecnica e al video SCHEDA TECNICA MOTO GUZZI 850 T5

MOTO DA CORSA - DUCATI MK3 Bialbero by Rocco Belli

C’era anche Rocco Belli al Motor Zone di Anagni.
Tra le moto che ha avuto la cortesia di portare ai nostri stand c’era una Ducati Mark 3 250.
A prima vista niente di particolare, una moto sportiva, messa giù da competizione ma simile a tante altre.
Poi noto qualcosa di diverso nella testata.
Un breve ripasso mentale… la Mark 3 aveva la distribuzione monoalbero con alberello a coppie coniche.
L’alberello c’è ancora ma, oltre alla candela posta dal lato sbagliato, la testata è diversa da quella standard Ducati dell’epoca.
OK, mi dico, la doppia accensione è una modifica già vista sulle Ducati monocilindriche corsaiole, poi giro intorno alla moto e resto a bocca aperta…dal lato opposto all’alberello ci sono, scoperti, una terna di ingranaggi collegati da una cinghia dentata.
Bialbero!
No, di Ducati bialbero conosco soltanto quelle progettate da Fabio Taglioni e quelle realizzate da Del Biondo.
Frugo ancora nella memoria, le teste di Taglioni erano diverse , gli ingranaggi erano racchiusi in una cartella centrale; quelle di Del Biondo sono monumentali e tali da aver richiesto la modifica del telaio per il loro alloggiamento.
Non combaciano nemmeno le cilindrate, 125 per le bialbero di Taglioni e 450 per quelle di Del Biondo.
Pesco Rocco e chiedo spiegazioni.
Lui minimizza: <<… è un esperimento fatto a tempo perso, non è stato sviluppato, ho lasciato invariato il diagramma di distribuzione originale e non ci sono stati incrementi significativi di potenza…>>.
Rocco è così, un meccanico sopraffino ma schivo e taciturno.
Le sue capacità sono inversamente proporzionali alla sua loquacità.
Per me si tratta di qualcosa di straordinario, si sono sparsi fiumi di inchiostro per realizzazioni molto meno impegnative.
Cerco di farlo parlare ancora della sua distribuzione ma per lui l’argomento è chiuso però mi fa una confidenza: << … ho un altro progetto, una testata bialbero comandata da cascata di ingranaggi su un 450 Desmo…>>.
Aspetto con ansia di poter ammirare quest’altra realizzazione.
Rocco Belli è un personaggio straordinario, avrò ancora modo di parlare di lui, delle sue moto e dei piloti che assiste.
Ho sentito storie bellissime come quella di una R6 stratosferica e di un ragazzo, carabiniere a Sarajevo.

MOTO TUNING - Genesi di una special (BMW R45)

Le BMW non mi avevano mai attratto in modo particolare, le avevo sempre considerate semplicemente delle tourer o, molto più prosaicamente, delle Guzzi con i cilindri mosci.
Circa un anno e mezzo fa mi venne proposto l’acquisto di una vecchia R45 abbandonata da anni sotto una tettoia sulle rive del lago di Bracciano.
Dopo che mi ebbero raccontato la storia della moto decisi che tutto sommato valeva la pena di spendere le pochissime centinaia di euro richieste.
La moto era stata acquistata da una attrice teatrale abbastanza famosa per il suo compagno di allora, un giornalista altrettanto abbastanza famoso.
Avevano passato una estate scorrazzando per la Sardegna e infine, alla fine della love story, la avevano abbandonata.
Nonostante fosse ridotta malissimo decisi di procedere con il restauro.
Sabbiai e riverniciai il telaio e la carrozzeria, trattai le fusioni del motore, sostituii gli ammortizzatori, i silenziatori e gli specchietti retrovisori; rifeci il rivestimento della sella, cambiai olio, filtri e pneumatici, revisionai completamente l’impianto elettrico, la forcella e i carburatori.
Totale: tre mesi di lavoro e 700 euro di spesa.
Una volta in moto la R45 si rivela tutto sommato divertente, buon equilibrio dinamico, frenata discreta, coppia di rovesciamento contenuta, consumi praticamente inesistenti e… prestazioni da scooter. Le sospensioni, poi, erano catastroficamente morbide.
Via senza rimpianti gli ammortizzatori originali e su un bel paio di Koni a doppia regolazione avanzati da una Guzzi.
Mal me ne incorse, i Koni andavano benissimo ma misero alla corda la forcella.
Il sedere della BMW rimaneva su bello dritto ma la sospensione anteriore andava a pacco ad ogni staccata.
Su indicazioni di Paolo Dragoni cambiai le molle con altre di tipo progressivo, inserii degli spessori di alluminio da 20 millimetri tra molle e tappi, sostituii l’olio con altro meno fluido mescolato con olio motore.
La moto migliorò decisamente.
Cominciai ad apprezzare la motoretta.
Richiedeva una guida vecchio stile con impostazione precisa delle traiettorie e pressione decisa sulle pedane ma mi tolsi il gusto di grattare l’asfalto con il cavalletto ad ogni curva e ogni tanto di bastonare, rigorosamente in discesa, qualche moto decisamente più giovane e performante. Il baricentro basso, una volta superata la paura di piantare un cilindro nell'asfalto ad ogni accenno di curva, permise dei numeri divertenti e cominciai a pensare che la trentina di cavalli a disposizione erano davvero pochini.
Mi procurai su Ebay Germania una coppia di cilindri e pistoni di una R65 e un paio di Bing da 32 mm di derivazione R80 e montai il tutto.
Passai un intero week end pasticciando con la carburazione e alla fine trovai il giusto compromesso con i getti Mikuni in teflon da 115.
Credo che guadagnai, a naso, una ventina di cavalli.
In pianura e spalmato sul serbatoio riuscii a vedere i 180 di tachimetro e i 7100 giri contro i 145 e i 5900 giri della configurazione originale.
L’incremento delle prestazioni fece riaffiorare tal quali i problemi della forcella.
Cambiai di nuovo l’olio e arrivai al 50% di olio motore ma non ci fu nulla da fare…era irrimediabilmente moscia.
L’idraulica era stata pensata per il turismo lento e non si adattava al mio stile di guida.
Anche i freni cominciarono a mostrare i loro limiti nonostante la sostituzione delle pastiglie originali con altre sinterizzate della Braking e il montaggio di tubazioni di tipo aeronautico.
Per di più la posizione in sella imposta dal manubrietto stretto di serie e dal serbatoio squadrato di taglio militaresco non andavano d’accordo con le nuove prestazioni nonostante avessi provveduto a montare un piccolo plex.
Si sentiva il bisogno di un manubrio di foggia diversa, di incavi più pronunciati per le ginocchia, di pedane più arretrate e di un ammortizzatore di sterzo.
Era arrivata l’ora di apportare modifiche importanti.
Non volevo però stravolgere l’estetica, non volevo creare una sorta di Frankenstein a due ruote. Siamo a oggi. Ora che ho l'inverno davanti penso a come adeguare la BMW.
La forcella deve essere sostituita, su questo non si discute.
Opto per una Marzocchi da 35 mm di derivazione Guzzi che ho già in casa e che mi permetterà di non sostituire le piastre di sterzo (anche la BMW ha steli da 35 mm.); se andava bene su una moto da 230 Kg andrà bene anche sulla BMW che ne pesa 40 in meno.
La Guzzi però montava dischi da 300 mm mentre la R45 li ha da 240.
Per evitare di dover adattare con piastre le pinze ai dischi decido di montarne una nuova coppia da 300 magari più leggeri di quelli in ghisa, prodotti da una fabbrica di tombini, della Guzzi.
Non sono molte le moto che montano dischi di tale diametro e alla fine la scelta cade sui Brembo semiflottanti del Monster S2R.
Per le pinze la scelta è obbligata: coppia di Brembo a doppio pistoncino sempre di derivazione Guzzi che tra l’altro assomigliano in modo impressionante alle ATE di serie tanto da essere con queste intercambiabili.
Per il serbatoio la scelta cade su quello della R100 che mi procuro per pochi euro sempre su Ebay Germania. Per la sella sto pensando di riciclare la vecchia e gloriosa Giuliari a un posto e mezzo avanzata dalla 750 Four (che fa tanto anni ‘70 ), per gli scarichi a una coppia di tromboncini Hoske di quelli montati sulle Rennsport, per il cupolino a quello della R90S, per il manubrio a quello del Monster primo tipo e a delle pedane di Tarozzi.
Per il motore credo che aumenterò il diametro delle valvole fino a 42 e 40 mm contro i 34 e 32 mm attuali, alleggerirò il volano, monterò una coppia di Dell’Orto PHF con il filtro aria in alluminio delle Barra 6 e raccorderò e luciderò i condotti delle teste.
Ciliegina sulla torta saranno i coperchi valvole ovali.
Nessun dubbio neanche sul colore: nero con filetti bianchi.
Vi farò sapere come è andata.

In risposta a Edo aggiungo a questo post ciò che ho pubblicato il 16 Gennaio 2011

...al rientro passo dallo studio dove è parcheggiata la Guzzi, Penny per gli amici.
Diminutivo di Penelope.

L'ha battezzata così, pensando alla famosa tela, una mia amica e il nome mi piace.
Sono anni che ci lavoro su, voglio creare una moto unica, splendida...non so se sarà mai finita per questo l'ho messa proprio davanti alla scrivania.
Ogni volta che sollevo gli occhi la guardo e immagino qualcosa di nuovo, di speciale, di unico.
Bike work is never done...può darsi.
Intanto voglio allineare la ruota anteriore della BMW; finalmente il tornitore mi ha consegnato le piastre in alluminio che servono ad adattare delle pinze Nissin a quattro pistoncini agli attacchi della Marzocchi.
Ho già sostituito i dischi originali da 240 con un paio di semiflottanti da 300 prelevati da un Monster.
Perfetto!

Ho lavorato molto di calibro e di CAD ma tutto va su come si deve.
La BMW devo finirla in fretta, l'ho promessa a mio figlio se e quando deciderà di prendere la patente.
In prima battuta avevo pensato di montare il serbatoio di una R100 ma poi mi sono innamorato della elegante essenzialità della 500 Rennsport di Zeller.

Tra il ciarpame che ho in officina c'è un vecchio serbatoio in resina dalla forma molto simile a quello della Rennsport.
Il serbatoio, usato in pista, si è danneggiato in seguito a una caduta.
Bene, ne farò una copia.
Me la cavo abbastanza bene con la vetroresina.
Lo avevo già rabberciato e verniciato con una mano di fondo per cui inizio a creare i controstampi.
Stendo il distaccante e applico la resina.











Credo che ne verrà fuori qualcosa di buono.
Allo stato attuale la R45 un po' trascurata si presenta così...ma migliorerà.


In risposta a Anonimo (Preferisco i commenti firmati. Grazie)
Ho progettato due distanziali, poi realizzati in ergal, costituiti geometricamente come l'unione di tre solidi: una piastra cilindrica a cinque fori per l'ancoraggio - mediante perni passanti - al mozzo del BMW, un prisma a base pentagonale e un'altra piastra cilindrica a sei fori filettati per l'ancoraggio del disco.
Lo spessore totale dei distanziali è stato determinato in modo tale da centrare i dischi sulle pinze.
Ci vuole più a dirlo che a farlo, a patto di avere un minimo di dimestichezza con il calibro e un buon tornitore in grado di realizzare i pezzi e successivamente equilibrarli per evitare scuotimenti sulla forcella.
Ti allego la schermata del progetto in 3D dei distanziali ( mi atteggio un po' in quanto sarebbero bastate carta e matita ) e una foto dei pezzi realizzati e montati.
Questa è la mia soluzione che ovviamente non pretende di essere né l'unica né la migliore.
Auguri per il tuo lavoro.










Vai alla scheda tecnica e al video: SCHEDA TECNICA BMW R45