Il tempo è galantuomo.
Nel panorama motociclistico mondiale sono passate moto di tutti i tipi, di molte non si ricorda nemmeno il nome.
Altre invece hanno segnato un’epoca, sono state elette ad assumere un posto di primo piano nell’olimpo motociclistico per fascino, prestazioni, soluzioni tecniche brillanti, guidabilità.
La loro immagine, con il tempo, si è impressa in maniera indelebile nella memoria collettiva.
A me quelle moto piacevano e piacciono.
Hanno rappresentato un sogno; irraggiungibili allora per uno studente squattrinato e oggi forse troppo impegnative per un signore di mezza età.
La Ducati 750 SS di diritto e per acclamazione trova posto nella ristretta cerchia delle elette.
Fabio Taglioni le aveva donato un cuore corsaiolo: bicilindrico a L di 90° longitudinale, distribuzione desmodromica comandata da alberelli a coppie coniche, trasmissione primaria a ingranaggi e finale a catena.
Nella versione originale aveva 72 CV a 9500 giri, 220 Km/h.
Tanto motore era ingabbiato in un telaio a doppia culla chiusa dal disegno nitido con quote ciclistiche di riferimento.
Snella come una monocilindrica, essenziale nelle sovrastrutture, sembrava fatta apposta per correre.
Memorabile la vittoria di Paul Smart nel 1972 alla 200 miglia di Imola su una moto derivata strettamente da quella di serie.
Figuratevi se, una volta sentito parlare di un esemplare velocissimo che partecipa al campionato italiano Guppo 5 per Derivate di serie, potevo resistere alla tentazione di andare a dare un’occhiata da vicino.
Prendo appuntamento con il proprietario e preparatore, Orlando Fusco, e armato di macchina fotografica e taccuino vado ad incontrarlo.
Orlando è un vero “gentleman driver”, uno di quelli che corrono per il piacere di farlo.
Ha i capelli grigi e gli occhi di un ragazzo che si illuminano quando parla di moto e della sua in particolare.
Ha ben ragione di esserne fiero, la moto è reduce dall’Endurance di Cartagena e ne ha ancora i contrassegni sulla carena.
Una carter quadri seconda serie, soltanto 250 esemplari prodotti.
Non è stravolta, serbatoio cupolino e codino sono quelli di serie.
Evocativa la banda senza verniciatura sul serbatoio in vetroresina con segnati con il pennarello i riferimenti sui giri percorribili prima del rifornimento.
Segni di un’epoca romantica travolta e superata dalla telemetria e dalle diavolerie elettroniche.
Sono stati ovviamente smontati gli specchietti, il faro, le frecce, la targa e il cavalletto che comunque Orlando conserva.
La moto è “regolarmente” omologata e assicurata; teoricamente potrebbe circolare tranquillamente su strada.
Le modifiche apportate per renderla competitiva, oltre un certosino lavoro di messa a punto, consistono essenzialmente nel montaggio di un kit composto da carburatori, alberi a cammes e scarichi aperti e rialzati forniti all’epoca come parti speciali dalla stessa Ducati.
Chiedo a Orlando notizie sui valori di coppia e potenza rilevati al banco.
Candidamente mi risponde di non aver mai fatto alcun rilevamento strumentale ma di avere un metodo infallibile per la valutazione delle prestazioni: <<…se in pista sono davanti allora va tutto bene, se sono dietro significa che c’è ancora del lavoro da fare. >>.
Impagabile!
Nel panorama motociclistico mondiale sono passate moto di tutti i tipi, di molte non si ricorda nemmeno il nome.
Altre invece hanno segnato un’epoca, sono state elette ad assumere un posto di primo piano nell’olimpo motociclistico per fascino, prestazioni, soluzioni tecniche brillanti, guidabilità.
La loro immagine, con il tempo, si è impressa in maniera indelebile nella memoria collettiva.
A me quelle moto piacevano e piacciono.
Hanno rappresentato un sogno; irraggiungibili allora per uno studente squattrinato e oggi forse troppo impegnative per un signore di mezza età.
La Ducati 750 SS di diritto e per acclamazione trova posto nella ristretta cerchia delle elette.
Fabio Taglioni le aveva donato un cuore corsaiolo: bicilindrico a L di 90° longitudinale, distribuzione desmodromica comandata da alberelli a coppie coniche, trasmissione primaria a ingranaggi e finale a catena.
Nella versione originale aveva 72 CV a 9500 giri, 220 Km/h.
Tanto motore era ingabbiato in un telaio a doppia culla chiusa dal disegno nitido con quote ciclistiche di riferimento.
Snella come una monocilindrica, essenziale nelle sovrastrutture, sembrava fatta apposta per correre.
Memorabile la vittoria di Paul Smart nel 1972 alla 200 miglia di Imola su una moto derivata strettamente da quella di serie.
Figuratevi se, una volta sentito parlare di un esemplare velocissimo che partecipa al campionato italiano Guppo 5 per Derivate di serie, potevo resistere alla tentazione di andare a dare un’occhiata da vicino.
Prendo appuntamento con il proprietario e preparatore, Orlando Fusco, e armato di macchina fotografica e taccuino vado ad incontrarlo.
Orlando è un vero “gentleman driver”, uno di quelli che corrono per il piacere di farlo.
Ha i capelli grigi e gli occhi di un ragazzo che si illuminano quando parla di moto e della sua in particolare.
Ha ben ragione di esserne fiero, la moto è reduce dall’Endurance di Cartagena e ne ha ancora i contrassegni sulla carena.
Una carter quadri seconda serie, soltanto 250 esemplari prodotti.
Non è stravolta, serbatoio cupolino e codino sono quelli di serie.
Evocativa la banda senza verniciatura sul serbatoio in vetroresina con segnati con il pennarello i riferimenti sui giri percorribili prima del rifornimento.
Segni di un’epoca romantica travolta e superata dalla telemetria e dalle diavolerie elettroniche.
Sono stati ovviamente smontati gli specchietti, il faro, le frecce, la targa e il cavalletto che comunque Orlando conserva.
La moto è “regolarmente” omologata e assicurata; teoricamente potrebbe circolare tranquillamente su strada.
Le modifiche apportate per renderla competitiva, oltre un certosino lavoro di messa a punto, consistono essenzialmente nel montaggio di un kit composto da carburatori, alberi a cammes e scarichi aperti e rialzati forniti all’epoca come parti speciali dalla stessa Ducati.
Chiedo a Orlando notizie sui valori di coppia e potenza rilevati al banco.
Candidamente mi risponde di non aver mai fatto alcun rilevamento strumentale ma di avere un metodo infallibile per la valutazione delle prestazioni: <<…se in pista sono davanti allora va tutto bene, se sono dietro significa che c’è ancora del lavoro da fare. >>.
Impagabile!
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