CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



mercoledì 27 febbraio 2008

STORIA DELLA MOTOCICLETTA - Lino Tonti

Quanti sono i miti del mondo delle due ruote?
Fabio Taglioni, motorista inventore del bicilindrico Ducati a L e dello strepitoso Apollo.
Giuliano Segoni, telaista di gran talento.
David Degens, motorista e assemblatore legato al mito delle Triton.
I fratelli McCandless, telaisti inventori del famoso Featherbed.
Giulio Cesare Carcano padre delle Guzzi 8V e 350 Bialbero.
Uno soltanto è stato telaista, motorista, assemblatore e tanto di più.
Sempre geniale.
Lino Tonti è una delle icone anzi l’Icona degli appassionati di moto classiche.
Ancora oggi, nei paesi anglosassoni, si usa “Tonti Frame” per definire le Guzzi serie grossa dotate di quell’autentico gioiello che è il telaio a doppia culla scomponibile creato nel 1969 e ancora oggi, a quaranta anni di distanza, utilizzato sulle California.
Ma andiamo con ordine.
Nato nel 1920, Tonti, diplomatosi perito aeronautico, entra a soli 17 anni in Benelli dove insieme a Guseppe Benelli lavora alla quattro cilindri sovralimentata.
Questa moto leggendaria aveva la distribuzione bialbero comandata dalla cascata di ingranaggi tipica delle Benelli, il raffreddamento a liquido, i cilindri inclinati in avanti, cilindrata unitaria di 62 cc, 52 CV a 10000 giri/min, compressore volumetrico comandato, sempre tramite ingranaggi, dalla trasmissione primaria, velocità oltre 230 Km/h cronometrata sulla Pesaro - Fano, con alla guida Salvatore Baronciani.
E si era nel 1939!
Si favoleggia che un macchinista fermò un treno per salvare i passeggeri, erano tempi di guerra, scambiando il sibilo della quattro cilindri per quello di un aereo in picchiata.
Nel 1957 il Conte Boselli lo vuole alla FB Mondial dove concepisce la 250 da GP e conosce Peppino Pattoni.
Insieme i due fondano la Paton (PATtoniTONti) e iniziano a trasformare in bialbero alcune Mondial 125 e 175 rilevate da Pattoni all’abbandono da parte della Mondial, insieme a tutte le case italiane, dell’attività agonistica.
Queste moto non hanno avuto una gran fortuna ma hanno avuto il merito di far debuttare uno spilungone inglese di nome Mike (The Bike) Hailwood.
Il successivo progetto della Paton è una bicilindrica 250 che verrà sviluppata da Pattoni perché Tonti nel 1958 passa alla Bianchi.
Il progetto era tanto buono che Pattoni con la bicilindrica 250 conquista un terzo posto al Tourist Trophy nel 1964 con Alberto Pagani e poi, maggiotata a 500 cc, nel 1967 con Fred Stevens vince il campionato italiano battendo un certo Giacomo Agostini su MV Agusta.

Nel frattempo Tonti alla Bianchi sviluppa il progetto di una 250 bicilindrica che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto competere con Benelli, MV Agusta e Ducati.
La 250 era troppo pesante per cui si decise di aumentarne l’alesaggio da 55 a 65 mm per correre nella classe 350.
L’idea fu vincente e la 350 divenne subito competitiva.
All’esordio nel 1960 a Monza con alla guida Ernesto Brambilla tenne il passo delle MV guidate da gente come Surtees e Hocking girando a un decimo di secondo dalle blasonate concorrenti.
L’anno successivo la 350 fu maggiorata ancora fino a 385, poi a 405 e infine a 425 cc per correre nella classe 500.
Tonti oltre che tecnico geniale era anche un ottimo direttore del reparto corse e sapeva scegliere i suoi piloti.

Per il campionato scelse piloti del calibro di Derek Minter, Dickie Dale, Hugh Anderson e Silvio Grassetti.
Nel 1961 Brambilla vince il campionato italiano.
In campo internazionale furono ingaggiati Bob Mc Intyre e Alistair King.
Mc Intyre fu secondo a Assen e terzo al Sachsenring.
Nel 1963, quando la Bianchi ormai agonizzava, afflitta da problemi economici, arriva Remo Venturi che ottiene il massimo appoggio dalla squadra corse.
A Modena e a Cesenatico ebbe la meglio su Hailwood su MV quattro, a Imola ebbe la meglio su Minter e Hartle, a Hockenheim fu secondo dopo la Honda quattro di Redman a 195 km/h di media, a Monza arrivò terzo.
Per Venturi Tonti costruì una 500 piena (498 cc) e una 350 con telaio in due pezzi separati e motore stressato chiamata per questo “bikini”.
Con queste moto Venturi vinse il Campionato Italiano nel 1964 nella 500 e arrivò secondo nel mondiale.
In ogni caso la sorte della Bianchi era segnata e nel 1964 Tonti andò alla Gilera dove si occupò di moto stradali.
Nel 1967 viene chiamato dalla Moto Guzzi dove ricevette l’incarico di progettare una moto veramente sportiva con pochi e semplici requisiti: 200 Kg, 200 Km/h, 5 marce.
Tonti si mise all’opera insieme ad Alcide Biotti e nel garage di casa creò quello splendido esempio di telaio a doppia culla scomponibile della V7 Sport.
La Sport fu’ una vera bomba nel panorama motociclistico dell’epoca; bassa, filante, dimostrava già all’esame visivo tutte le sue qualità: potenza, agilità e tenuta di strada granitica.

In un’epoca di ciclistiche approssimative la V7 Sport dimostrò a tutti come si faceva a far stare in strada una moto.
Mentre inglesi e giapponesi sbacchettavano e si torcevano. la Guzzi filava liscia e veloce senza la minima incertezza.
Forse il freno anteriore a tamburo da 200 mm era un tantino poco adatto ma la Casa Madre vendeva, quasi sottobanco, un kit di modifica per montare all’anteriore una coppia di dischi in ghisa da 300 mm morsi da pinze Brembo a doppio pistoncino…il massimo.
Appena uscita girò 6 secondi (!) più veloce della V7 Special utilizzata fino ad allora per i tentativi di record ( la Moto Guzzi, insieme a Mondial e Gilera aveva detto addio ai GP già dal 1957 ).
Tonti aveva regalato alla Sport tante piccole chicche, dal manubrio regolabile che con una semplice chiave a brugola poteva passare da un assetto turistico a uno prettamente sportivo al parafango posteriore ribaltabile per facilitare lo smontaggio della ruota posteriore ecc.
La moto specie nella livrea verde legnano è rimasta tatuata nell’immaginario collettivo come la moto sportiva italiana per eccellenza.
Non mi è mai capitato di vederne una parcheggiata senza un capannello di curiosi e ammiratori intorno.
Una Star.
Per la Guzzi Tonti lavora anche alla serie piccola da 350 e 500 cc apportando innovazioni come il carter tagliato orizzontalmente all’altezza dei supporti di banco e il forcellone in alluminio pressofuso, prima moto al mondo ad esserne dotata.

Studiò anche un motore a quattro cilindri sempre con lo schema a V trasversale di 90° con una inedita distribuzione a cammes in testa.
Ho l’impressione che il Dr John inventore della distribuzione DOHC della Daytona non si sia poi inventato un granchè.
Nel frattempo Tonti aveva trovato il tempo nel 1968 per creare la Linto (LINo TOnti), una bicilindrica da GP ottenuta accoppiando due motori dell’Aermacchi 250.
La prima moto in fase di sviluppo fu portata in gara nel 1968 da Alberto Pagani, Campione di grande livello proveniente dall'Aermacchi. Alberto terminò al secondo posto nel GP della Germania Est e al quarto posto nel GP d'Italia corso a Monza, dove la Linto potè sfruttare al meglio la sua elevata velocità massima. Alberto quell'anno vinse anche il Piestany International in Cecoslovacchia.

Le moto che gareggiarono nel 1969 però mostrarono una grande fragilità meccanica. Uno dei maggiori era la rottura della trasmissione primaria, e nonostante le varie modifiche ed i diversi materiali impiegati il problema non fu risolto perchè dovuto ad un errore di progettazione. Un altro problema davvero serio era costituito dalle vibrazioni, che riuscivano a danneggiare addirittura il carter motore e le saldature del telaio.La moto in ogni caso era velocissima, ma altrettanto difficile da guidare. Le moto ufficiali soffrivano di questi problemi analogamente a quelle destinate ai privati, nonostante ciò Pagani vinse in Italia dando alla moto la sua unica vittoria in un Grand Prix, mentre Jack Findlay conquistò un terzo posto nel GP della Germania Ovest.Quell'anno Gyula Marsovszky terminò con un brillante secondo posto il Campionato del Mondo, e Steve Ellis concluse al sesto posto. Il "duro" neozelandese Keith Turner vinse a Le Mans ed al Mettet Internationals, dove la sua moto fu cronometrata a 160mph (quasi 290 km/h!) sul rettilineo Mulsane, 20mph più veloce delle Norton e Matchless.
Lino Tonti ci ha lasciati, spero che ovunque sia adesso abbia un tecnigrafo e un’officina a disposizione.

domenica 10 febbraio 2008

STORIA DELLA MOTOCICLETTA - Moto Morini 3 1/2 Sport

La Morini 3 ½ è stata per una generazione l’alternativa italiana alle plurifrazionate giapponesi.
Certo, di queste non aveva l’aspetto levigato, quell’aria altera da gran signora che avevano le Honda Four o la cattiveria dichiarata delle Kawa tre cilindri, non aveva nemmeno la possanza di una Guzzi o di una Laverda ma quel “3 ½” a rilievo sui fianchetti, specie se affiancato da uno “Sport” è rimasto ben impresso a chi l’ha posseduta o a chi, e sono stati in molti, ne ha potuto annusare soltanto i gas di scarico.
Andava un gran bene la 3 ½, progettata da un tecnico di valore come Franco Lambertini – proveniente dalla Ferrari – e voluto nel 1970 da Gabriella Morini come anima del marchio dopo la morte del Cavalier Alfonso nel 1968, aveva tanti pregi e pochissimi difetti.
Essenziale, questo è l’aggettivo che viene in mente guardandola.
Poche cromature, niente fronzoli … giusto l'indispensabile.
Un telaio semplice ma valido, un comparto sospensioni all’altezza, forcella Marzocchi davanti ( anche se qualche volta sono state montate le ugualmente valide Paioli ) e ammortizzatori sempre Marzocchi dietro con molle cromate.
All’anteriore c’era un potente freno a tamburo a doppia camma da 200 mm il cui unico difetto era forse la modulabilità e al posteriore un tamburo a camma singola da 160 mm.
In seguito venne montato un disco singolo
Il vero punto di forza era il motore, un “V Twin” longitudinale con angolo di 72° che vantava soluzioni assolutamente innovative come il cambio a 6 marce, la frizione a secco a 5 dischi come una vera racer, albero a cammes nel basamento tra la V dei cilindri e distribuzione comandata da cinghia dentata ( prima moto al mondo a montarla di serie ), teste completamente piatte con camere di scoppio ricavate nel cielo dei pistoni – tecnologia mutuata dalle auto da corsa – accensione completamente elettronica.

I condotti di aspirazione e scarico ad alta turbolenza erano stati progettati secondo il sistema “Heron”. Un paio di Dell’Orto VHB da 25 mm protetti contro gli allagamenti da carburante da un rubinetto elettrico comandato dalla chiave di accensione completavano l’opera.
Una coppia di Lafranconi con il loro suono cupo creavano una degna colonna sonora.
I due cilindri erano disassati di 50 mm per migliorare il raffreddamento di quello posteriore.
Lambertini aveva progettato il motore pensandolo modulare ovvero per essere monocilindrico, eliminando il cilindro posteriore, nelle cilindrate 125 e 250 cc e bicilindrico nelle cilindrate da 350 e 500 cc.
Le prime serie presentarono problemi al cambio e di lubrificazione alle teste, inoltre alcuni pistoni risultarono un po’ rumorosi, ma questi peccati di gioventù vennero risolti ben presto e in maniera definitiva.
La potenza era di 35 Cv, il regime di sfarfallamento era di 9200 giri/min e la coppia massima di 3.28 Kgm a 5900 giri/min.
Queste caratteristiche rendevano il motore brillante e ben disposto a girare in alto – unità bicilindriche più blasonate come Guzzi e Laverda giravano 2000 giri più in basso e le quattro cilindri prendevano in genere solo 1000 giri in più avendo per contro una erogazione appuntita a tutto svantaggio della facilità e del piacere di guida.
La ripresa pronta e la frizione a secco favorivano le partenze a razzo, se ne accorsero ben presto i possessori di moto giapponesi lasciati con un palmo di naso ai semafori, infilzati come tordi in staccata e lasciati indietro nel misto a cercare di domare le loro ciclistiche.

In pratica l’unico modo di battere una 3 ½ con una giapponese dell’epoca era confrontarsi su di un rettilineo infinitamente lungo e forse anche in quel caso sarebbe stato da vedere dato che la Morini dichiarava, secondo me molto ottimisticamente. una velocità massima di 175 Km/h
Realisticamente, spalmati sul serbatoio, si sfioravano i 160 all’ora.
Non male per una 350 di 35 anni orsono.
In ogni caso le piccole bugie sulle prestazioni erano prassi comune tra i costruttori, anche Soichiro Honda dichiarava 200 km/h per la sua 750 Four che poi prendeva regolarmente distacchi abissali dalle V7 Sport che i duecento li facevano davvero.
Le 3 ½ si prestarono ben presto a modifiche e personalizzazioni che andavano dall’immancabile due in uno alle irrinunciabili pedane arretrate. La posizione di queste ultime, specie sulla Sport, erano troppo avanzate e rendevano la posizione di guida innaturale.

Lo stesso sottoscritto era innamorato perso di una 3 ½ kittata da Valentini esposta in vendita da un Concessionario della zona, più o meno come questa della foto sopra pescata sul web, accreditata di 48 Cv alla ruota e cronometrata a 200 km/h.
Anche la pubblicità della Morini, con le prosperose bellone dai boccoli cotonati non faceva altro che far crescere la libido di un ventenne con gli ormoni in subbuglio che quasi non riusciva decidere se fosse preferibile la moto o le modelle.
Decisi per le modelle lasciando, senza troppi rimpianti, la 3 ½ di Valentini nel cassetto dei desideri irrealizzati.