CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



martedì 25 novembre 2008

Moto Guzzi 1000 SP "Cafe Racer" di Lorenzo Ridolfi

Questa è la storia dell' amore di un Uomo per la sua Motocicletta, per la sua famiglia e per i suoi amici.
Per una volta non ho niente da aggiungere.
Quella che segue è la trascrizione fedele di quanto Lorenzo mi ha consegnato.
Non ho cambiato nemmeno una virgola.
"L’idea di costruire questa moto nasce leggendo un articolo su Luca Viola, secondo a Daytona con una splendida V7 Sport.
La moto di Luca, esportatore di stile e tecnica in terra americana, mi affascinò moltissimo.
Ero già in possesso di un Imola 350 modificato con motore 650 cc e varie componenti Stucchi ( ma questa è un’altra storia) ma non mi bastava più.
In un negozio in zona Prati era esposta la mitica V7 Sport di Luca, entro e la osservo in ogni suo magnifico particolare.
Decido in quel momento di iniziare la costruzione di una “special” con quel riferimento prezioso ed essenziale.
La moto: una 1000 SP arrivata al capolinea della sua carriera di granturismo e base perfetta per la trasformazione in cafe racer. Il vecchio proprietario: un buon padre di famiglia arrivato al terzo figlio e alla decisione di porre fine alla sua carriera di centauro.
Prime componenti: un serbatoio in alluminio fatto a mano e i fianchetti di una Le Mans I.
Seguono poi cerchi a raggi Borrani, sella Gaman, parafanghi minimali di una V7 Sport, mezzi manubri e così via. La storia prende però una brutta piega, una mattina di settembre ci schiantiamo di brutto contro un maledetto Golf.
Moto distrutta, il sottoscritto in fin di vita.
Sembra la fine ma non è così.
Le fratture sono tante e gravi ma al CTO fanno il “miracolo”.
Due mesi e tre interventi più tardi sono fuori.
Tornando a casa mi fermo al garage dove giacciono le spoglie della mia povera moto; resto solo con Lei e piangendo giuro a me stesso che tornerò a cavalcarla.
Dovrò lavorare molto sia sul mio telaio, ormai bionico, che su quello della Guzzi piegato lacerato e con il cambio esploso ( come le mie vertebre ).
Telefono a Felice, il mio amico meccanico.
Ci sono voluti sei mesi di duro lavoro per riportare su strada il gioiello.
Durante la resurrezione arrivano una miriade di pezzi speciali e varie elaborazioni. E’ una emozione vederla di nuovo in gran forma, sicuramente più del proprietario, ma la soddisfazione è tanta.
Ci vorranno molti altri mesi prima che le mie condizioni fisiche mi permettano di guidarla come prima ma già averla di nuovo in garage è un grosso risultato. Grazie a mia moglie e a mio figlio che mi hanno dato la forza di riprendermi e dato la forza di proseguire nella mia passione e nel contempo migliorare i risultati della mia vita.
La mattina che ho ripreso la moto sulla litoranea, piegando tra le dune, con l’aria fresca e profumata sul viso ho pianto di gioia pensando a questa fantastica e dolorosa avventura.
Ho combattuto contro un bruttissimo evento di cui porto ancora i segni.
E’ la vita.
Ho imparato che non si molla.
Sono ancora in sella con il mento sul serbatoio ( e che serbatoio!), con i manubri tra le mani, ginocchia strette su quei capoccioni a danzare tra le curve e gli ostacoli del lavoro, della famiglia e della vita.
Grazie a tutti i miei Amici che mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato.
Un grazie particolare al grande Felice, instancabile, paziente ed estremamente competente tecnico della galassia Moto Guzzi.
Chiururgo ed ingegnere, autore di questa moto splendida, essenziale, elegante come nessuna altra.
Quasi come la mitica V7 Sport di Luca."

Lorenzo Ridolfi
Caratteristiche tecniche:
- Moto Guzzi 1000 SP classe 1981
- Forcella: Forcelle Italia regolabile da 40 mm.
- Piastre sterzo: Menani in ergal ricavate dal pieno
- Ammortizzatori: Koni regolabili
- Pedane: Tarozzi in alluminio regolabili
- Manubrio: semimanubri Tarozzi regolabili
- Distribuzione: terna di ingranaggi in ergal by Stucchi
- Cammes: Bruno Scola
- Serbatoio: in alluminio lucidato a specchio fatto a mano
(in alternativa quello del Le Mans I grigio)
- Tappo serbatoio: tipo aereonautico
- Cerchi: in alluminio Borrani Rekord
- Sella: Gaman
- Carburatori: Dell'Orto con coni a trombetta Malossi
- Contagiri: Veglia da competizione
- Pompa freno anteriore: radiale con eliminazione della frenata integrale
- Fianchetti: Le Mans I
- Cruscotto: il alluminio lucidato.
- Specchietto: end bar
- Competenza: Felice
- Passione: Lorenzo

Anche le foto sono di Lorenzo

venerdì 14 novembre 2008

MV Agusta 750 S

I quattro cilindri della MV venivano da lontano.
Una storia iniziata a Roma.Due giovani ingegneri romani Pietro Remor e Carlo Gianini avevano progettato la “Rondine”, un quattro cilindri fronte marcia in grado di sviluppare negli anni '20 la bellezza di 28 CV.
Le sei Rondine costruite e il faldone dei progetti arrivarono dopo varie peripezie alla Caproni che a sua volta, non sapendo che farsene, li cedette per un tozzo di pane alla Gilera.
Le famose e plurivittoriose Gilera 4C furono anche loro sviluppate da Pietro Remor.
Remor approdò infine alla Meccanica Verghera dove, con il suo impressionante bagaglio di esperienza, diede vita alle moto entrate di diritto nella leggenda del motociclismo.
 
  Non ho alcuna intenzione in questa sede di stilare l'ennesimo elenco dei successi delle MV Agusta ma di chiacchierare un po', anche sull'onda dei ricordi, di quella che per anni è stata la regina delle moto da strada: la 750 S.
La settemmezzo varesina era dotata di quello che possiamo definire il primo quattro cilindri moderno e non c'è dubbio che i nipponici ne abbiano tratto ispirazione per i loro “inline fours”.
Si trattava di un 4 cilindri in linea raffreddato ad aria con doppio albero a cammes in testa e comando della distribuzione a cascata di ingranaggi.
Tutte le componenti in movimento del motore erano montate su cuscinetti a sfere o a aghi; la trasmissione a cascata di ingranaggi, studiata come un complessivo, poteva essere rimossa senza smontare il motore dal telaio, allo stesso modo era concepito il complessivo pompa olio e l'albero a gomiti era montato su un proprio elemento portante.
Quando si trattò di immetterla sul mercato, il Conte Agusta, impose la trasmissione ad albero cardanico e prestazioni limitate.
Era importante creare una moto che si ponesse ad un livello di assoluta superiorità meccanica rispetto a tutti gli altri costruttori, un oggetto del desiderio da esibire con orgoglio.
Era però altrettanto importante impedire a preparatori privati di acquistare la moto e porsi in gara in diretta concorrenza con la casa madre.
La 750 S pesava 230 kg ovvero circa un quintale in più della quattro cilindri da gran prix; differenza non certamente imputabile ai 250 cc in più di cilindrata.













Anche il telaio della “S” era un banale monotrave a doppia culla chiusa, non dissimile da quelli adottati dalla maggior parte dei costruttori e assolutamente diverso da quelli raccolti e rigidi delle moto da corsa.
Il motore era posto molto in alto per evitare costose grattate sull'asfalto e il conseguente innalzamento del baricentro non contribuiva certamente alla manegevolezza del mezzo.
La forcellina da 38 mm davanti, gli ordinari Girling al posteriore e il poco meno che onesto tamburo anteriore da 230 mm – in seguito, come sulla 750 America fu montato un doppio disco Scarab - contribuivano a smorzare gli entusiasmi di chi avesse voluto osare una guida sportiva.
Delle moto che spopolavano nel mondiale conservava l'architettura anche estetica dell'unità motrice e i quattro coreografici tromboni che le davano un'aria molto racing.
La “S” non era però il bel “catorcio” che sembra emergere dall'esame delle caratteristiche tecniche anche perchè i 220 km/h dichiarati non erano una bazzecola a cavallo degli anni '60 e '70.
Una moto strettamente derivata dalla 750 stradale, compresa la trasmissione cardanica, allestita in soli 25 giorni dal Reparto Corse e testata soltanto una volta sul rettilineo di Modena prese parte con Agostini e Pagani alla 200 Miglia di Imola del 1972 – quella che con la vittoria di Smart e il secondo posto di Spaggiari diede inizio al “mito” Ducati.
All'inizio delle prove la MV prendeva circa sei secondi a giro dalle Ducati ma alla fine Agostini, per merito della sua bravura e del lavoro alacre dei meccanici, riuscì a conquistare la prima fila.
Ago rimase in testa alla corsa per i primi cinque giri e quando si ritirò, al 42° dei 62 giri previsti, era a soli nove secondi dalle Ducati di testa.
A fermarlo fu l'allentamento di uno dei perni di supporto di uno degli alberi a cammes.
La F750, nata per promuovere le vendite della S750 non fu mai più utilizzata in gara.
Dopo il fallimento della MV Agusta il testimone della sportività del marchio passò all'ex direttore del Reparto Corse Arturo Magni – voluto alla Meccanica Verghera dall'Ing. Remor – che realizzò splendide special su base 750 S.
Magni progettò una efficacissima modifica alla trasmissione per la sostituzione del cardano con la catena, modificò la ciclistica e arrivò perfino a progettare ex novo telai che abbracciassero stretti lo splendido esempio di ingegneria italiana che era il quattro cilindri MV.
Le moto di Magni rivelarono tutto il potenziale delle “S” che era stato volutamente occultato dal Conte Agusta.


lunedì 10 novembre 2008

Mostra scambio Sora 9 Novembre 2008

Domenica.
Una splendida giornata di Novembre.
Sarebbe stata la giornata ideale per una gita al mare ma con il polso ingessato, conseguenza di una banalissima scivolata, niente motocicletta.
Per la verità non potrei nemmeno guidare l'auto ma è impossibile restare chiusi in casa con questo tempo.
La Stradale in genere non è molto comprensiva con chi si mette al volante con il gesso al braccio ma confido nella buona sorte e nella mia capacità di convinzione.
Se mi fermano qualcosa riuscirò sicuramente ad inventarmi.
Gironzolo senza meta annoiandomi un po'.
Ricordo di aver letto in internet della mostra scambio di Sora e decido di farci una capatina.
Arrivo tardi, la biglietteria è chiusa e ormai gli standisti stanno sbaraccando. Riesco ad intrufolarmi lo stesso...aria indaffarata , un sorriso al personale di controllo al cancello e sono dentro.
Quella di Sora è la solita mostra scambio, tanto ciarpame, ferrivecchi, blocchi di ruggine spacciati per pezzi di ricambio o per moto pronte per un improbabile restauro.
Bisogna cercare bene e avere occhio allenato per trovare qualche "chicca" tra tanta monnezza.
Salto a piè pari il settore auto e gli stand dedicati alle Vespa; è incredibile come lo scooter della Piaggio sappia solleticare la memoria fino ad assurgere allo status di vera "cult bike".
Probabilmente è uno dei pochissimi esempi di design e tecnica veramente innovativo proposto dall'industria motociclistica da cinquanta anni a questa parte.
I plasticoni moderni che scimmiottano le moto vere non hanno personalità.
Visto uno, visti tutti.

Per la Vespa replicano di tutto.
In pratica si può entrare a mani vuote e uscire - con il portafogli debitamente alleggerito - con tutti i pezzi, comprese decalcomanie e fregi, per assemblare un mezzo di sana pianta.
La prima moto degna di nota in cui mi imbatto è una Aermacchi - Harley Davidson Sprint 350; è abbastanza ben messa a parte la sella rifatta in stile - che Dio li perdoni - custom.







E' sempre affascinante la Sprint, anche se adattata al gusto americano con il serbatoio a goccia e lo scarico sdoppiato, il bel motore a cilindro orizzontale ideato da Alfredo Bianchi fa sempre la sua figura.
Finalmente una bella moto: una Ducati 350 monocilindrica elaborata dalla NCR di Bologna - marchio storico legato indissolubilmente alle Ducati da competizione - e proposta dallo storico concessionario Enrico Roccatani.

Che dire?
Niente, le foto parlano da sole.
Subisco sempre il fascino della bellezza essenziale e aggressiva delle moto da competizione e di quelle ben fatte in particolare.
Starei delle ore a rimirarla ma voglio completare il giro.
Uno standista dall'accento romano propone in vendita una Honda 350 bicilindrica, un pezzo interessante anche se non particolarmente quotato.
Le condizioni sono cattive, ruggine dappertutto e mancanza di alcuni pezzi.
La richiesta di 1500 euro è francamente folle.
Altrettanto folle, se non di più, è la stessa cifra richiesta da uno standista con l'accento pugliese per uno scheletro di Laverda SF: soltanto telaio, serbatoio, ruote e motore sicuramente inchiodato.
Niente scarichi, parafanghi, carburatori, strumentazione, sella, e soprattutto documenti.
Uscendo, poi, vedrò con piacere la Honda e la Laverda andare via invendute sui carrelli.
Lo stand di un "romano" espone una serie di Honda splendidamente restaurate.
CB Four 350, 500 e 750.








La richiesta economica è da "trattativa privata in sede" e mutuo ipotecario ma le moto sono belle davvero.
Quasi umana è invece la richiesta per una Honda 400 Sport ben conservata.
In un angolo noto una macchia gialla...è un Itom Astor della metà degli anni '60.
Un cinquantino sportivo dalla linea aggressiva e filante. Da ragazzino ricordo di aver invidiato i ragazzi più grandi con l'Itom; per me era ancora tempo delle due ruote "a pedali".
Allora sembrava grandissimo e velocissimo.
Ora lo guardo con nostalgia e mi chiedo se quelle rotelline e quella forcellina potrebbero reggere i miei quasi cento chili di peso senza piegarsi.
Un altro cinquantino non meglio identificato - a prima vista sembrerebbe un Mondial Sport - con una improbabile carenatura integrale e l'aria di aver corso davvero.
Mi piacciono i "piccoli bastardi" e ancor più i loro piloti.
Ci vuole fegato e pelo sullo stomaco per lanciarsi in una bagarre a quasi 100 km/h contando su quei pneumatici e su quei freni.
Probabilmente vieterei a mio figlio di farci il giro dell'isolato e invece c'era gente che ci andava in pista.
Altra stoffa.
Chiudo con una bella coppia di Lambrette delle prime serie.
Essenzialità allo stato puro.
Al confronto le Vespe erano opulente e offrivano un comfort "sibaritico". L'Italia che si rimettevain moto aveva bisogno di questi mezzi e qualcuno glieli forniva.
Noi con cosa ripartiremo?

sabato 1 novembre 2008

La "Febbre" del Tuning

Tuning.
Un termine anglosassone per definire la “febbre” provocata dal virus che coglie a volte il possessore di un mezzo di locomozione a due o quattro ruote.
Non sono assolutamente certo della verità storica di ciò che affermo ma sono convinto che il germe abbia iniziato a contagiare da tempo immemorabile.
Il carro da combattimento di Achille valga come esempio per tutti.
Il nuovo termine ha anche nobilitato, nel campo specifico delle due ruote, una attività che una volta, con un certo disprezzo, veniva considerata propria degli “smanettoni”, dei “coatti” o ancor peggio di chi, non potendo permettersi un mezzo nuovo di pacca, modificava, con dubbi risultati tecnico/estetici, quello in suo possesso al fine di renderlo più’ moderno aggressivo e rumoroso. Insomma “truccato”.
Chi non ricorda negli anni “70” i Kawa tre cilindri con le marmitte a spillo e le Honda four con il quattro in uno e la sella con lo “gnocco”, pardon Clubman.







In definitiva l'obiettivo è sempre lo stesso, rendere la propria cavalcatura più’ stabile, più’ potente, più aggressiva, più bella o semplicemente diversa.
Quando non erano ancora state coniate definizioni come Streetfighter, Custom, Cafe racer ecc. il "Tuner" non ha mai trovato una collocazione ben definita nel contesto sociale rimanendone spesso ai margini.
Anche la cinematografia ci ha messo del suo: il rotondetto imbronciato e assolutamente improbabile Marlon Brando de Il selvaggio”, il ben piu’ credibile Peter Fonda di “Easy rider” o il magnifico Steve McQueen di "La grande fuga" hanno caratterizzato personaggi al di fuori degli schemi sociali convenzionalmente definiti e accettati.
Anche Tomas Milian nei panni del commissario Nico "Er Monnezza" Giraldi sulla Scrambler Ducati, pur stando dalla parte dei "buoni", interpretava un personaggio greve sboccato e con un passato da coatto di borgata.
Una certa aura da “zingari” ha caratterizzato anche i piloti privati degli anni '60 e '70.
A quei tempi c’erano i piloti ufficiali in sella a moto competitive e tecnologicamente – per l’epoca - avanzatissime e "gli altri".
"Gli altri" erano quelli che girovagavano per i circuiti con la moto nel furgone che era nello stesso tempo motorhome e officina mobile.
"Gli Altri” erano quelli che potevano aspirare al massimo dal quinto posto in giu’ montati su moto di serie adattate per le competizioni.
Per strappare qualche centesimo di secondo sul giro si modificavano telai sospensioni freni e carrozzerie.
Per fortuna!
Valenti artigiani e piccole industrie iniziarono a produrre parti speciali dedicate fornendo componenti affidabili e contribuendo a dare un minimo di dignità ai mezzi di chi quelle stesse componenti acquistava e montava per uso su strade aperte.
Segoni, Egli, Tomaselli, Ceriani, Fontana, NCR, Bimota, Valentini, Borgo ecc. hanno creato componenti raffinate e performanti ancora oggi ricercatissime da chi è appassionato di special classiche. Bah, tempi ormai andati.
Esiste oggi un fiorente mercato di “spare parts” aftermarket ( Evvai con gli anglicismi ) prodotte dalle stesse case motociclistiche tramite proprie consociate o da piccole e specializzatissime industrie che permettono di modificare a piacimento la propria moto con l’unico limite dettato dall’entità del conto in banca.
In una custom house ho provato a sfogliare i volumi dedicati alle parti speciali per Harley Davidson, migliaia e migliaia di pagine, roba da perderci la testa.
Anche Ducati non scherza, forse le pagine saranno solo centinaia ma sono comunque un bel malloppo.
Il risultato, per chi decide di attingere a questo mercato, è garantito.
Levigatezza, perfetta compatibilità delle parti, prestazioni garantite...moto "snob" esibite come status symbol a dimostrazione della propria disponibilità economica.

Personalmente ho sempre preferito quelle che definisco "garage bike".
Moto "grezze" fatte nei sottoscala, nei box dietro casa, di notte, con il sudore e l'inventiva.
Concordo con il mio vecchio professore che detestava il "lavoro di gruppo".
Questo, diceva, rende il prodotto formalmente corretto, generalmente privo di pecche ma soffoca l'idea brillante, l'intuizione geniale.
Le garage bike hanno spesso sprazzi di assoluta genialità.


Si, vabbè... ma la febbre del tuning?
Non c’è antidoto che tenga, chi è contagiato lo è per sempre.
E forse è il momento di smettere di pestare sulla tastiera del piccì e andare a dare un’occhiata critica alla mia motoretta; c'è sempre qualcosa da fare per renderla "speciale" …
..."bike work is never done"