CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



martedì 27 settembre 2011

Norton Commando

Sabato sera mi è capitato di andare a mangiare qualcosa con una coppia di amici e chiacchierando amabilmente si è parlato, anche se solo di sfuggita, di moto.
Lui, ordinario di meccanica applicata, non è motociclista ma ricordava con piacere la Norton Commando che in qualche modo gli è rimasta tanto impressa da ricordarne perfino le misure di alesaggio e corsa.
Beh, la ricordo anche io la Norton Commando; era appannaggio dei ragazzi più grandi e con più disponibilità, di quelli che già lavoravano.
Nel 1968 non avevo ancora l’età per la patente A, e nemmeno quella per il cinquantino, ma la passione per le due ruote era già grande e la Norton, con il suo odore di olio e di velocità, era un oggetto del desiderio.
Ce ne era una chiara, mi sembra bianca, di proprietà di uno che soprannominavano “Giamanco”; li si aspettava di vederli passare con l’ invidia per chi come lui aveva la moto, usciva con le ragazze e si favoleggiava che avesse già fatto del sesso.
Vabbè, ormai abbiamo cominciato e tanto vale continuare a chiacchierare un po’ di quella moto dall’indubbio fascino che è stata il canto del cigno della casa inglese.
La “Model 20 Mark III” fu presentata nel 1967 e entrò in produzione del ’68 (assumerà la denominazione Fastback solo nel 1969).
La motorizzazione a corsa lunga – alesaggio per corsa 73x89x2 =745 cc - era quella della Atlas con il rapporto di compressione portato da 7.3 a 8.9:1 e con il regime di rotazione portato da 5800 a 6800 giri/min.
Modifiche furono portate anche ai cuscinetti di banco che però si rivelarono il vero tallone d’Achille della motocicletta.

La Norton Commando Fastback
La discontinuità con il passato si ebbe però a livello della ciclistica; fu mandato in pensione il glorioso Featherbed che aveva caratterizzato la produzione Norton fin dall’epoca del “Garden gate” della International e venne adottato un telaio a doppia culla chiusa con un grosso trave superiore.
Caratteristica l’asta di reazione, resasi necessaria per irrigidire l’attacco del tubo superiore al cannotto di sterzo, che collegava la parte bassa del cannotto al punto di chiusura della culla sulla trave.
Per smorzare le vibrazioni del grosso bicilindrico a corsa lunghissima, manovelle a 360° e senza contralbero di equilibratura, i progettisti si inventarono il sistema chiamato “Isolastic”.
Si trattava in pratica di supporti elastici con boccole interne in gomma e rasamenti calibrati esterni che in tre punti isolavano il gruppo motore/cambio/forcellone dal resto della moto.

La Commando 850
Il sistema, che era studiato per ottenere un buon compromesso tra comfort e tenuta di strada, funzionava a meraviglia con le boccole nuove e i rasamenti perfettamente regolati ma lascio immaginare cosa poteva succedere, specie nei curvoni veloci in appoggio, quando il sistema acquistava gioco e il forcellone prendeva una direzione autonoma e quasi mai concorde con quella del telaio.
Però la moto con l’affusolato codino, l’ampio sellone, il serbatoio dalle forme morbide, le bellissime piastre in lega leggera di supporto alle pedane e i caratteristici scarichi rialzati a cono e controcono era armoniosa, gradevole e immediatamente identificabile.
Il ponte di comando era molto “british” con i due strumenti Smiths, il grosso faro cromato con inseriti nella calotta le spie di servizio e la chiave di accensione.
Successivamente, sulla 850, fece la sua comparsa un piccolo cruscottino dall’aria posticcia.
Il reparto sospensioni era all’altezza delle prestazioni e all’anteriore faceva bella mostra di se un bel monodisco da 270 mm mentre al posteriore si trovava un classico tamburo da 170 mm.
Nel 1974 viene lanciata la versione 850; l’incremento di cilindrata si ottiene aumentando l’alesaggio da 73 a 77 mm.
Il motore venne spompato calando il regime di rotazione da 6800 e 5800 giri e riducendo il rapporto di compressione da 8.9 a 8.5:1.
Nel contempo si irrobustì il banco e l’ingranaggeria nel suo complesso.
In pratica si tornò verso i valori della Atlas.
Venne abbandonato il codino rastremato per un più canonico sellone con maniglione cromato e fece la comparsa un disco posteriore.
La potenza dichiarata era di 60 Cv alla pressione media effettiva di 11 bar e la velocità di 190 Km/h.
La corsa lunga e l’ottima efficienza termodinamica garantivano la coppia vigorosa ai bassi regimi e la grande elasticità sempre riconosciuta alla Commando.
La velocità lineare del pistone e l’indice di sollecitazione rispettivamente di 17.5 m/sec. e 192, sebbene inferiori a quelli della 750 ( 20.1 m/sec. e 207 ), sono comunque esasperati e più adatti a un motore da competizione che a una moto da turismo.
Da qui la fragilità mai risolta del bicilindrico Norton.
Nell’ottobre del 1977 la casa chiuse i battenti per non riaprirli mai più o, voglio sperare, non ancora.
Mi piacerebbe tantissimo che possa rivivere il glorioso marchio così come è successo per Triumph.
Qualcuno, dall’altra parte dell’Atlantico, ci ha già provato, qualche moto è già stata venduta nonnostante il prezzo esorbitante, e il risultato non è nemmeno pessimo.
Inch’allah.
Con tutti i suoi difetti e tutto il suo carisma la Commando ha comunque segnato un’epoca e soprattutto, insieme alla cugina Trident, ha contribuito sostanzialmente alla mia passionaccia per le due ruote.

La nuova Commando 950



 

La "vecchia" Commando 750/850

La "Nuova" Commando 961

sabato 17 settembre 2011

SCHEDA TECNICA YAMAHA XS 650





Nel 2007 la Yamaha presentò una concept bike,
 denominata "Sakura", largamente ispirata alla XS degli anni
70. La motorizzazione era un bicilindrico a V longitudinale
delle custom di Iwata. Della Sakura non si è saputo
più niente e probabilmente il progetto è stato accantonato.


Anche Oberdan Bezzi con la consueta mano felice ha
reinterpretato la moto da strada classica nel più puro
stile Yamaha. Ha utilizzato anche lui il bicilindrico a V delle
custom.
Ma...il bicilindrico fronte marcia è morto e sepolto?


SCHEDA TECNICA Fantic Motor CABALLERO 50

Foto pubblicitaria ufficiale del Caballero 50


Foto ufficiale Caballero serie successive


Caballero interpretato da Oberdan Bezzi

martedì 13 settembre 2011

Week end 10 e 11 Settembre 2011 - Lazio, Marche e Abruzzo


Itinerario
OK, ci risiamo.

Il caldo asfissiante di questi ultimi quaranta giorni sembra aver allentato un attimo la sua morsa.
Si può pensare finalmente di fare un giro un tantino più lungo della solita corsetta senza storia fino al passo.
Andare in giro in moto su strade aperte con 38 gradi all’ombra (è stato lo standard per molte settimane) è follia pura.
Ci punse vaghezza, due settimane orsono, di andare a mangiare della porchetta a Grottaferrata, confortati dalle previsioni di Giuliacci che decretavano la fine del gran caldo e mal ce ne incorse; il ritorno a casa sotto un sole feroce con il termometro della Honda che oscillava tra i 38 e i 40 gradi fu esperienza da dimenticare.
Anzi no, da ricordare.
Ricordare per imparare a non fidarsi dei telemetereologi.
Mi è capitato l’altro giorno, dopo aver sostenuto il test di ammissione alle facoltà sanitarie (ho deciso di sostenerlo in preda a un attacco acuto di demenza senile), di percorrere in auto la statale che collega L’Aquila a Rieti attraversando le Gole di Antrodoco e di rimanerne affascinato.
Un nastro di asfalto perfetto con larghi curvoni d’appoggio e qualche tornantino impegnativo tra scenari di impervia bellezza.
Perfetto per la moto e per lo spirito.
Ok, andata per questo itinerario.
Decidiamo di fare due tappe: la prima da Sora a L’Aquila nel pomeriggio di sabato e proseguimento per Rieti la domenica mattina con successiva sosta rilassante al lago del Salto.
Partiamo da Sora e percorriamo la SSV fino ad Avezzano in meno di mezzora.
Abbiamo tempo da perdere e decidiamo di evitare l’autostrada e di raggiungere L’Aquila attraversando l’Altipiano delle Rocche.
Da Avezzano a Celano c’è traffico, quello caotico e un po’ folle del sabato pomeriggio; vado avanti con prudenza, basta un nonnulla per trasformare in qualcosa da dimenticare una piacevole passeggiata.

La Rocca di Celano
Ci lasciamo alle spalle Celano con la sua splendida rocca e cominciamo ad arrampicarci verso Ovindoli.
La strada è tortuosa, poco trafficata e con un ottimo fondo.
Apro il gas con decisione ma un “pugno al fegato” sferrato dalla Zavorrina frena decisamente la rotazione del polso destro.
Vado su allegro ma non veloce come mi piacerebbe; vabbè, pazienza.

Panorama di Ovindoli
 Da Ovindoli in poi la strada si distende con curve leggere e panorami ampi.
Il sole è già tramontato e si avverte il presagio dell’ora blu.
Rallento affascinato dal paesaggio e mi godo il panorama e soprattutto gli odori che, da quando ho smesso di fumare, colgo in maniera quasi violenta.
Odori di terra, di erba, di...buono.
A Rocca di Mezzo si devia per l’Aquila; la strada è tortuosa e con fondo irregolare.
Vado giù senza fretta eccessiva preoccupato da un rumorino che sento provenire in fase di rilascio dalla parte bassa della moto.
All’Aquila sono ospite a casa di mia figlia, studentessa in quella città, la abbraccio, ci rinfreschiamo un po’ e ovviamente la invito a cena.
Facciamo un giro per il centro; non avevo più voluto andarci dopo il terremoto.
Mia figlia era lì durante il sisma e la paura di quello che avrebbe potuto succedere ancora riempie di incubi le mie notti.
Il centro è affollato in maniera incredibile, si fa fatica a camminare.
Gente che passeggia, canta, balla…a due passi dalla desolazione.
Gli aquilani vogliono vivere e riappropriarsi della città, della loro memoria storica e ne hanno il pieno diritto.
Da tecnico osservo le opere di messa in sicurezza degli edifici e mi meraviglio del lavoro fatto.
E’…grande.

Opere provvisionali di messa in sicurezza

Opere provvisionali di messa in sicurezza
Sono stati messi in sicurezza edifici che io avrei destinato alla demolizione senza se e senza ma.
Mi tornano in mente gli scopi e le prassi per il consolidamento statico dei monumenti studiati per l’esame di restauro.
Qui ogni edificio è un caso a parte che necessita singolarmente di uno studio particolareggiato e di una progettazione accurata.
Sono felice di non essere tra quelli che dovranno inventarsi delle metodologie di intervento tese a salvaguardare gli edifici e l’incolumità delle maestranze che vi dovranno operare.
Non ci dovranno essere errori; sbagliare significa perdere l'edificio o delle vite umane.
Passiamo la notte ospiti della Ragazza e il mattino di domenica siamo pronti a ripartire.
Facciamo un giro veloce per il centro, voglio fotografare le opere di messa in sicurezza e poi ci avviamo al trotto verso le Gole di Antrodoco.

Domenica mattina presto a l'Aquila
La strada è come la ricordavo: semplicemente perfetta.
C’è soltanto da stare attenti a un paio di autovelox del tipo “Tutor” non segnalati e posti ovviamente all’uscita di curva.
Per fortuna li avevo memorizzati passando in auto.

Le Gole di Antrodoco
La VFR, ronfa che è un piacere piegando tra una curva e l’altra; una giornata iniziata bene.
Arrivati a Antrodoco c’è la deviazione per Ascoli Piceno; freno e chiedo alla Zavorrina se le va di cambiare destinazione e di dirigerci verso le Marche.
Ovviamente accetta di buon grado, mai conosciuta una donna tanto disponibile ai cambi di itinerario.
E così via verso Ascoli per una strada piacevolmente tortuosa e poco impegnativa; in successione il lago di Campotosto, Amatrice, Posta e infine Ascoli.

Il lago di Campotosto

Sulla strada per Ascoli
Il centro storico della cittadina marchigiana è come lo ricordavo: una bomboniera.
Pulito, accogliente, sonnolento al punto giusto, dai ritmi “umani” e pieno di scorci suggestivi.
Parcheggiamo la moto e passeggiamo piluccando un cartoccio di, of course, olive all’ascolana.
Il centro è piccolo e non ci vuole molto a visitarlo tutto.

Ascoli 1

Ascoli 2
È da un po’ che ho voglia di visitare la fortezza di Civitella del Tronto, ultimo baluardo di resistenza dell’esercito delle Due Sicilie dopo la caduta di Gaeta e di Messina.
Tremilanovecento piemontesi con artiglieria ultramoderna assediarono la fortezza tra l'Ottobre 1860 e il marzo 1861.
Alla resa, richiesta espressamente per iscritto da Ferdinando di Borbone, si contarono 291 sopravvissuti tra truppa e ufficiali.
La capitolazione di Civitella fu l’ultimo atto della occupazione di uno Stato sovrano voluta dalla massoneria anglo/sabaudo/livornese per l’acquisizione delle ricchezze, delle tecnologie e delle risorse del Regno Duosiciliano.

Si riparte da Ascoli
La strada per la fortezza è decisamente brutta, oltretutto sbaglio deviazione e prendo per una strada chiusa al traffico dove costringo la VFR a fare un po’ di cross, ma vale la pena di percorrerla.

La Fortezza di Civitella del Tronto dal basso
Alla fortezza si accede con delle lunghissime scale mobili e scarpinando parecchio.
La vista toglie il fiato con il Gran Sasso da una parte e l’Adriatico dall’altra.

Fortificazione esterna

Alla memoria
Molto opportunamente insieme alla bandiera europea e a quella italiana hanno issato, anche se un po’ discosta, quella gigliata del Regno.

La bandiera del Regno delle Due Sicilie a Civitella del Tronto
Risaliamo in moto e ci avviamo verso Teramo per una strada improponibile che percorriamo molto lentamente.
Oltretutto il rumorino che sentivo è diventato molto più evidente e ne individuo la provenienza: la catena è diventata lasca e batte contro il pattino in tecnopolimero posto sul forcellone.
Non c’è verso di tendere la catena senza la speciale chiave dentata che agisce sull’eccentrico del cuscinetto del monobraccio e quindi bisogna andare avanti così sperando per il meglio.
Come Dio vuole imbocchiamo l’autostrada e a velocità meno che codice e dosando millimetricamente l’acceleratore per evitare strappi alla trasmissione raggiungiamo Avezzano e poi Sora.
Duecentotrenta chilometri fatti d’un fiato con la tensione per l’inconveniente meccanico sono decisamente pesanti da percorrere.
La prima cosa che faccio appena arrivato, ancor prima di una doccia ristoratrice, è quella di tendere quella maledettissima catena che ha rischiato di rovinarmi un bellissimo week end.

Link correlati:

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http://archiviostorico.corriere.it/2004/ottobre/06/Quelle_curve_nel_canyon_delle_co_10_041006030.shtml