CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



lunedì 26 novembre 2012

TRIUMPH T150 TRIDENT



La Triumph Trident T150 Postata da Herve
L’altro giorno un mio amico di Facebook, Herve Coudulet, ha pubblicato la foto di una Triumph Trident caferizzata;  tre in uno, sella monoposto, un bel Fontana da 250 a quattro ganasce, semimanubri, strumentazione ridotta al solo contagiri, colore viola.
Ce n’era una proprio così al mio paese, il proprietario era un tal Ferdinando che di mestiere faceva “il pompista”.
Di Triumph da noi non se ne sono mai viste molte, probabilmente per mancanza di un concessionario di marca - se manca l’offerta anche la domanda langue - e così per un bel pezzo la Trident di Ferdinando è restata l’unica tre cilindri in circolazione.
Cominciavano a vedersi in giro delle Honda Four, è vero, ma quelle erano tutte tanto belline educatine  e perfettine che sembravano appena uscite dal gran ballo delle debuttanti: vestitino metallizzato, incedere elegante e voce sussurrata.
Solo più tardi avrebbero incontrato i Bikers rudi e ignoranti che le avrebbero condotte alla perdizione portandole sulla cattiva strada e a volte anche in pista.
La nostra T150 invece era arrivata già ignorante e scafata di suo; un po’ come la collegiale ripetente che ha già praticato il sesso mentre le compagne di classe ne parlano soltanto.
Sottovoce.
La Trident scostumata di Ferdinando urlava. 
Urlava con il vocione rauco che solo le tricilindriche a quattro tempi con il 3 in 1 e lo scarico aperto sanno avere.
Io e qualche amico coetaneo, all’epoca montati su monocilindriche nostrane, a volte ne parliamo con un pizzico di nostalgia ricordando come ci ripromettevamo una volta grandi di possedere una moto come quella.

Triumph Trident T150 1969
Ora siamo “grandi” e anche un po’ di più, probabilmente potremmo permettercela ma sarebbe rendere tangibile un desiderio di ragazzo; meglio lasciarla nel garage dei desideri irrealizzati insieme alla Honda RC30, alla Yamaha FZR 750R, alla Moto Guzzi 750S “Telaio Rosso” e tante altre.
Madonna mia, su… stai diventando noioso e quasi patetico con i tuoi ricordi.
OK, OK, basta così.
Presentata del 1968 - praticamente in contemporanea con la CB 750, la Norton Commando, e la Kawasaki 500; la mitica Moto Guzzi 750 S con il telaio rosso sarebbe arrivata un paio d’anni più tardi – precipitò la precedente produzione motociclistica inglese nella preistoria.
La Trident rappresentava il presente ma le giapponesi, Honda in testa, erano già il futuro e la moto pur con tutti i suoi pregi non si impose sul mercato e rappresentò il canto del cigno della storica factory.
Bert Hopwood e Doug Hele già nei primi anni 60 avvertirono la necessità di sostituire la Bonneville con qualcosa di più performante e proposero l’idea ad Edward Turner, capo carismatico della Triumph, purtroppo vicino al pensionamento che non appoggiò il progetto.
L’idea era di aggiungere un cilindro al motore della Tiger 500 per sfruttare al massimo le linee di produzione esistenti e minimizzare i costi di sviluppo, mantenendo la lubrificazione a carter secco per ridurre l’ingombro in altezza del propulsore, rinuncia alla già sperimentata distribuzione bialbero in testa per lo stesso motivo e manovellismo a 120° per l’ottenimento di prestazioni brillanti. 
Spaccato del motore della Trident
Furono sviluppati vari prototipi con la proverbiale flemma inglese e solo quando arrivò la notizia che Soichiro Honda stava per lanciare sul mercato una settemmezzo pluricilindrica il progetto fu accelerato e la Trident venne presentata al pubblico.
 Triumph Trident prototipo 1965
Lo studio delle sovrastrutture della T150 fu affidato allo Studio Ogle che propose un design avveniristico e filante con il serbatoio di forma squadrata, i parafanghi verniciati e le particolarissime marmitte con i terminali che ricordavano il numero tre dei cilindri.
La moto non piacque.

Il bozzetto definitivo della OGLE Design
 La nipponica CB 750 era molto più vicina ai gusti classici inglesi di quanto non fosse l’inglesissima Trident.
Inoltre, per quanto fosse nettamente superiore in prestazioni pure, in tenuta di strada e qualità telaistiche, la Trident non reggeva il paragone con le giapponesi per affidabilità e facilità d’uso.
Trafilaggi d’olio, frequenti rotture della trasmissione primaria ( la moto conservava il cambio separato ), la mancanza dell’avviamento elettrico, la distribuzione a aste e bilancieri, la difficoltà di carburazione, l’accensione a puntine, i freni a tamburo anziché a disco, la resero commercialmente  perdente nei confronti della concorrenza giapponese.
Nel 1972 la Triumph chiuse i battenti anche se per volontà del governo inglese venne fusa con la Norton e la Villiers e continuò a produrre bicilindriche da 650 cc fino al fallimento nel 1983.
Eppure la Trident andava forte.
La cugina BSA Rocket 3 venne certificata dalla AMA in configurazione stock a una velocità di quasi 211 Km/h sulle 5 miglia.
La “Slippery Sam” vinse cinque gran premi all’isola di Man per cinque anni consecutivi, dal 1971 al 1975.
Slippery Sam
Gene Romero e Don Castro affiancano Gary Nixon nelle gare del Grand National. 
Romero corre per sette anni con le Triumph. 
Sono suoi infatti i migliori piazzamenti della tre cilindri a Daytona (due volte secondo nel '70-'71 con pole record a più di 250km/h di media) ed è per merito suo che la Triumph si aggiudica per l'ultima volta il Grand National nel 1970. 
Prima della definitiva chiusura del Reparto Corse, la Trident si aggiudica il Bol d'Or del 1970 con Smart-Dickie a Montlhery e quello dell'anno successivo (1971) a Le Mans grazie a Tait-Pickrell.
Con la Trident gareggiano anche i nostri Walter Villa e Gianfranco Bonera e perfino Agostini ne usa una per gli allenamenti per le gare di durata.
Questo solo per citare i più famosi ma l’elenco è lungo.

La Triumph T140 di Giacomo Agostini

Giacomo Agostini e la Triumph Trident


Walter Villa su Triumph Trident
La triumph Trident di Gianfranco Bonera
Nixon, Castro e Romero su T150 Trident