CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



domenica 2 dicembre 2007

MOTO TUNING - Genesi di una special ( Moto Guzzi 850 T5 )

Quella con le T5 Moto Guzzi è una vecchia storia d’amore.
Ne avevo già avuta una bellissima, rossa, prosperosa, carenata Stucchi, un vero gioiello.
Con lei ho macinato decine di migliaia di chilometri senza nessun inconveniente particolare.
Ma un giorno mi tradì, si incollarono le pasticche e caddi.
Una caduta banale, in città, a dieci all’ora, nessun danno serio.
La riparai ma ormai l’incantesimo era rotto.
Non riuscii più ad avere in lei la fiducia incondizionata che avevo sempre avuto e, seppure a malincuore, la vendetti.
Ebbi altre moto a due e quattro cilindri ma la Guzzona mi mancava.
Mi misi in cerca di una sostituta, la volevo in buone condizioni meccaniche ma con la carrozzeria abbastanza malandata da non far piangere il cuore a “pasticciarla”.
Mi dissero che un ispettore della Polizia Portuale di Genova ne aveva in vendita un paio ex Polstrada.
Telefonai, contrattai il prezzo – 550 euro cadauna -, presi il furgone e via alla volta della Liguria.
Una volta nel garage le misi in moto, i big twin trasversali giravano come un orologio…bene!
Mi tenni la più malmessa esteticamente e vendetti l’altra, ne ricavai un piccolo guadagno che mi coprì le spese della trasferta.
Il motore girava benissimo ma l’estetica e la componentistica erano da far venire le lacrime agli occhi.
Forcellina da 35, dischi pieni in ghisa pesanti quanto mezza moto, forcellone rachitico e lungo quanto una quaresima, cerchi in lega (?) tanto stretti quanto brutti, carenona costruita pensando alla vela maestra della Amerigo Vespucci, borsoni in lamieraccia, pedane da Harley … totale 270 kg a secco.
Mostruosa!
A qualcuno questo tipo di moto piace ma io le mie le preferisco svelte, leggere, performanti, maneggevoli, ben frenate e con componenti ciclistiche di prim’ordine.
Mi divertii come un maialino nella palta a smontare e buttare via tutto quanto ritenni superfluo o non adeguato all’idea di moto che avevo in mente.
L’idea era di fare una moto più leggera di una Le Mans ma che non assomigliasse a una Le Mans qualsiasi…obiettivo: 180 Kg.
Alla fine mi ritrovai solo con lo splendido telaio disegnato da Lino Tonti e il motore.
Assolutamente convinto di quanto asserito da chi di moto se ne intende davvero e secondo i quali “pompare” un motore senza avere una ciclistica adeguata è il modo migliore per lasciare prematuramente questa valle di lacrime, mi do da fare.
Mi procuro i cerchi di una T5 stradale a cinque razze di disegno più elegante e larghezza dei canali umana.
Un amico che ha appena smesso di andare per cordoli mi vende la forcella da 41 mm della sua GSXR 1100 anni ‘80 con idraulica modificata da Andreani e molle Hyperpro.
Appena tre “click” per il precarico molla e tre per la regolazione dell’idraulica ma ho sempre avuto un gran rispetto per le sospensioni Suzuki.
Per i freni voglio un paio di padelloni da treeventi e per fortuna ho in casa una coppia di dischi semiflottanti del Kawa ZXR 1000.
Tengo buone anche le pinze a quattro pistoncini della Gixer.
Le piastre di sterzo della Suzuki mi sembrano un tantino leggerine per cui decido di alesare a 41 mm quelle originali Guzzi in modo da lasciare invariati i valori originali di avancorsa e avanzamento degli steli.
Magari più avanti monterò i cuscinetti di sterzo disassati di Magni per ridurre di un grado l’inclinazione della forcella e rendere l’avantreno più reattivo.
Carico tutto in macchina e vado dal mio tornitore di fiducia, Tarcisio.
Tarcisio mi vuole un gran bene e per questo non mi caccia a pedate ogni volta che entro nella sua officina con una carriolata di ciarpame e qualche idea strampalata in testa.
L’officina è da archeologia industriale, niente CNC, laser o diavolerie del genere ma tornio e fresa, benché vetusti, funzionano egregiamente e lui è uno che sa davvero il suo mestiere.
Tra un mugugno e una chiacchiera, tra un bicchiere e un moccolo l’avantreno prende forma. Fresatura dei mozzi, piastre in Ergal 7075 da 10 mm per adattare dischi e pinze, spessori in AISI 316 e alla fine gli allineamenti sono perfetti.
Per non sprecare un rettangolino di ergal avanzato mi costruisce una piastra stabilizzatrice tra i foderi forcella per evitare svergolamenti e rendere l’avantreno ancora più rigoroso.
Lo costringo a modificare i leveraggi del cambio per adattarli a una coppia di pedane e leve Tarozzi per Kawa 900 che ho ripescato tra le cianfrusaglie ammassate in garage.
Lo fa in maniera egregia senza smettere di smoccolare contro i pazzi che un destino crudele fa capitare nella sua officina.
Dal momento che la frenata integrale Guzzi originale è più adatta ai molleggioni California che alle staccate assassine sui tornanti di montagna, decido di mandare in pensione la pompa freni antero/posteriore e relative tubazioni in ferro in favore di un’altra prelevata da una Aprilia RVS 1000.
Il buon Tarcisio adatta anche quella.
Il conto che mi presenta alla fine è simbolico: 100 euro, un paio di bottiglie di rosso e la promessa (ovviamente disattesa) di non farmi più vedere nei paraggi almeno per i dieci anni a venire.
Per il retrotreno conservo gli ottimi Koni originali a doppia regolazione ma monto un forcellone Le Mans I, il più corto di tutta la produzione Guzzi, maggiorato e modificato per le gare Gruppo 5.
Un pezzo splendido in grado di ospitare pneumatici da 150/70 ( oggi tale misura fa sorridere ma all’epoca era avanti anni luce rispetto alle gommette da 120 montate su tutte le Guzzi, anche sportive ).
Butto via anche il disco posteriore in ghisa in favore di uno per T5 stradale inox da 242 forato.
E’ ora di pensare alle sovrastrutture.
Ho sempre bene in mente il limite dei famosi 180 chili per cui sella, serbatoio, cupolino e parafanghi dovranno essere in vetroresina.
In Germania trovo una sella che mi piace, snella, abbastanza comoda per due pur avendo un gradino piuttosto alto tra le due sedute e abbastanza retrò da adattarsi senza crisi di rigetto alla Guzzona.
La sella a due posti non è il massimo, di solito non mi piace portarmi dietro zavorre ma… non si sa mai.
Con un lamierino di alluminio completo l’opera costruendo i supporti sella e un sottocoda ad hoc.
Per il serbatoio il discorso si fa serio, provo quello del Le Mans I ma il taglio posteriore tipico Guzzi non si adatta alla sella, oltretutto è in lamiera e pesa una tonnellata.
Voglio qualcosa di diverso, snello, con incavi profondi, che si adatti alla mia taglia XXL , che non mi faccia guidare a gambe aperte e che mi eviti di urtare le ginocchia ai cilindri ad ogni staccata.
La provvidenza non ha limiti, in questo caso si prende il nome di Vladimiro.
Pittore, scultore, arredatore, architetto di interni, esperto di tutto quanto sia arte e profondo conoscitore delle tecniche realizzative,Vladimiro è un artista a tutto tondo e soprattutto un amico.
Tra le sue innumerevoli esperienze c’è anche quella di lavorare la vetroresina fatta quando si occupava di scenografie per il cinema.
Inizio un periodo full immersion sulla tecnica, mi faccio una cultura di sottosquadri, stampi e controstampi, resine acriliche e poliestere, primer e distaccanti, stucchi e sigillanti.
Per fortuna imparo in fretta e la manualità non mi manca.
Al CAD preparo un disegno preliminare con le misure fondamentali e ne ricavo una serie di sezioni che poi realizzo in compensato.
Provo lo scheletro di serbatoio ottenuto sul telaio: perfetto!
Ora non mi resta che riempire i vuoti con del poliuretano, stuccare e carteggiare, creare con la resina acrilica i quattro controstampi necessari per la sformatura, stendere il distaccante, applicare i vari strati di feltro in vetro e resina poliestere, sformare, rifinire i gusci, unirli, stuccare e sigillare, fare la prova idraulica e applicare il fondo per la verniciatura.
Due mesi di lavoro ma il risultato mi soddisfa.
Provo a salire in sella…la moto mi va a pennello come un vestito di sartoria.
Provo un paio di manubri, un Magura a M e un drag bar avanzato dal Kawa 750 tre cilindri e due tempi.
Il Magura è più cattivo ma il largo drag bar promette un miglior controllo sul misto…deciderò in seguito.
Con il solito lamierino di alluminio provo a costruire una piastra per montare la strumentazione originale. Perdo una barca di tempo e il risultato è così così… credo che alla fine finirò per montare un solitario contagiri Veglia da 100 mm meccanico da competizione a fondo bianco
Continua…

Vai alla scheda tecnica e al video SCHEDA TECNICA MOTO GUZZI 850 T5

1 commento:

  1. Gentile collega "appassionato",non posso non approfittare della tua esperienza in merito riguardo la trasformazione della mia T5 PA del 1987,in particolare vorrei montare davanti,al posto dei due dischi pieni ,due dischi brembo oro da 32(di una guzzi v11)non compatibili col mozzo esistente,da completare con pinze sempre brembo oro tubo in treccia,il tutto su forcelle bitubo da 40 regolabili che montavano i pa in quel periodo(che giudico buone)...come hai risolto?...consigli?
    Grazie!!
    Dario
    mail:dariomiceli@hotmail.it

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