CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



venerdì 14 novembre 2008

MV Agusta 750 S

I quattro cilindri della MV venivano da lontano.
Una storia iniziata a Roma.Due giovani ingegneri romani Pietro Remor e Carlo Gianini avevano progettato la “Rondine”, un quattro cilindri fronte marcia in grado di sviluppare negli anni '20 la bellezza di 28 CV.
Le sei Rondine costruite e il faldone dei progetti arrivarono dopo varie peripezie alla Caproni che a sua volta, non sapendo che farsene, li cedette per un tozzo di pane alla Gilera.
Le famose e plurivittoriose Gilera 4C furono anche loro sviluppate da Pietro Remor.
Remor approdò infine alla Meccanica Verghera dove, con il suo impressionante bagaglio di esperienza, diede vita alle moto entrate di diritto nella leggenda del motociclismo.
 
  Non ho alcuna intenzione in questa sede di stilare l'ennesimo elenco dei successi delle MV Agusta ma di chiacchierare un po', anche sull'onda dei ricordi, di quella che per anni è stata la regina delle moto da strada: la 750 S.
La settemmezzo varesina era dotata di quello che possiamo definire il primo quattro cilindri moderno e non c'è dubbio che i nipponici ne abbiano tratto ispirazione per i loro “inline fours”.
Si trattava di un 4 cilindri in linea raffreddato ad aria con doppio albero a cammes in testa e comando della distribuzione a cascata di ingranaggi.
Tutte le componenti in movimento del motore erano montate su cuscinetti a sfere o a aghi; la trasmissione a cascata di ingranaggi, studiata come un complessivo, poteva essere rimossa senza smontare il motore dal telaio, allo stesso modo era concepito il complessivo pompa olio e l'albero a gomiti era montato su un proprio elemento portante.
Quando si trattò di immetterla sul mercato, il Conte Agusta, impose la trasmissione ad albero cardanico e prestazioni limitate.
Era importante creare una moto che si ponesse ad un livello di assoluta superiorità meccanica rispetto a tutti gli altri costruttori, un oggetto del desiderio da esibire con orgoglio.
Era però altrettanto importante impedire a preparatori privati di acquistare la moto e porsi in gara in diretta concorrenza con la casa madre.
La 750 S pesava 230 kg ovvero circa un quintale in più della quattro cilindri da gran prix; differenza non certamente imputabile ai 250 cc in più di cilindrata.













Anche il telaio della “S” era un banale monotrave a doppia culla chiusa, non dissimile da quelli adottati dalla maggior parte dei costruttori e assolutamente diverso da quelli raccolti e rigidi delle moto da corsa.
Il motore era posto molto in alto per evitare costose grattate sull'asfalto e il conseguente innalzamento del baricentro non contribuiva certamente alla manegevolezza del mezzo.
La forcellina da 38 mm davanti, gli ordinari Girling al posteriore e il poco meno che onesto tamburo anteriore da 230 mm – in seguito, come sulla 750 America fu montato un doppio disco Scarab - contribuivano a smorzare gli entusiasmi di chi avesse voluto osare una guida sportiva.
Delle moto che spopolavano nel mondiale conservava l'architettura anche estetica dell'unità motrice e i quattro coreografici tromboni che le davano un'aria molto racing.
La “S” non era però il bel “catorcio” che sembra emergere dall'esame delle caratteristiche tecniche anche perchè i 220 km/h dichiarati non erano una bazzecola a cavallo degli anni '60 e '70.
Una moto strettamente derivata dalla 750 stradale, compresa la trasmissione cardanica, allestita in soli 25 giorni dal Reparto Corse e testata soltanto una volta sul rettilineo di Modena prese parte con Agostini e Pagani alla 200 Miglia di Imola del 1972 – quella che con la vittoria di Smart e il secondo posto di Spaggiari diede inizio al “mito” Ducati.
All'inizio delle prove la MV prendeva circa sei secondi a giro dalle Ducati ma alla fine Agostini, per merito della sua bravura e del lavoro alacre dei meccanici, riuscì a conquistare la prima fila.
Ago rimase in testa alla corsa per i primi cinque giri e quando si ritirò, al 42° dei 62 giri previsti, era a soli nove secondi dalle Ducati di testa.
A fermarlo fu l'allentamento di uno dei perni di supporto di uno degli alberi a cammes.
La F750, nata per promuovere le vendite della S750 non fu mai più utilizzata in gara.
Dopo il fallimento della MV Agusta il testimone della sportività del marchio passò all'ex direttore del Reparto Corse Arturo Magni – voluto alla Meccanica Verghera dall'Ing. Remor – che realizzò splendide special su base 750 S.
Magni progettò una efficacissima modifica alla trasmissione per la sostituzione del cardano con la catena, modificò la ciclistica e arrivò perfino a progettare ex novo telai che abbracciassero stretti lo splendido esempio di ingegneria italiana che era il quattro cilindri MV.
Le moto di Magni rivelarono tutto il potenziale delle “S” che era stato volutamente occultato dal Conte Agusta.