CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



giovedì 13 gennaio 2011

Vecchie glorie al Bike Expo'

Continuo a pubblicare le foto del Bike Expo’ 2010.
Tra le nuove proposte, le elaborazioni e le stravaganze tipiche di questa manifestazione c’era una sezione destinata alle vecchie glorie; quelle che fanno venire i lucciconi agli occhi e riportano a un’epoca ormai tramontata.
Quella del motociclismo eroico, di corse con una scodella in testa in circuiti senza vie di fuga in cui gli errori si pagavano con la pelle, di circuiti famosi per la loro spettacolarità e pericolosità.
Valga per tutti il Tourist Trophy dell’Isola di Man.
Geoff Duke, Mike Hailwood, Joey Dunlop, Giacomo Agostini, Phil Read, John Surtees…nomi entrati di diritto nella leggenda.
Ma andiamo alle moto esposte iniziando da Sua Maestà la Norton Manx; la moto con in assoluto il maggior numero di vittorie al suo attivo, quella più longeva, quella costruita in maggior numero di esemplari.

 Quella esposta è, a naso, una 500 “corsa corta” in produzione dal 1954 e provvista del mitico telaio Featherbed e della altrettanto mitica forcella Roadholder.
L’eleganza di questa regina è innegabile; a essa si sono ispirate le Cafe Racer dei Ton Up Boys, quelli che, con il chiodo di cuoio, partivano dal piazzale dell’Ace Cafe e andavano a schiantarsi contro i cancelli della North Circular.
C’era la BSA Godstar, “Goldie” per gli amici.
Che dire di questa moto?

E’ stata la più desiderata da un paio di generazioni per la sua potenza e la sua bellezza.
Una moto da corsa travestita da stradale e quasi mai usata per il turismo.
Un motore potente, scorbutico e con un arco di utilizzazione assai limitato la hanno relegata ad un uso prettamente sportivo tanto che è difficile trovarne qualcuna in condizioni di assoluta originalità.
Per di più la BSA stessa commercializzava una serie di accessori corsaioli e di kit di potenziamento.
C’era la Triumph Trident.
Il canto del cigno dell’industria motociclistica inglese.
Una moto con un palmares sportivo di tutto rispetto.
E’ stata a lungo la moto da battere, condotta da gente come Walter Villa, nelle gare di endurance anche grazie all’influenza di Bepi Koelliker che era riuscito, in barba ai regolamenti, ad imporre delle “illegalità” come il telaio alto e i freni a disco.
La mia passionaccia per le moto è in gran parte dovuta a una Trident di colore viola con il tre in uno e la sella “clubman” che scorrazzava con il suo vocione rauco per le strade del mio paese.
Degna concorrente delle Trident era la Laverda SFC.

Questo esemplare assettato per l’endurance con i faroni esterni Cibie è un vero colpo basso.
Le “arancioni” sono state un mito per chi come me ha vissuto l’epopea delle gare di durata.
Ci volevano fegato e …testicoli per portarla al limite e un braccio sinistro come quello di Popeye per azionarne la frizione.
SFC sta per Super Freni Competizione ma era pura utopia.
Fino all’avvento del doppio disco era davvero problematico arrestarla.
Le Gilera da corsa sono invece delle moto da corsa in tutto e per tutto e mai costruite in versione stradale.
La 500 Quattro cilindri, figlia della Rondine di Remor e Gianini e sorella delle MV Quattro è un glorioso pezzo di storia.

Difficile fare un elenco di tutte le sue vittorie.
Bella e aggraziata la 175 bicilindrica bialbero.

Una gran moto penalizzata soltanto dalla sua cilindrata che la ha relegata alle corse minori.
Sembra di vedere Hailwood seduto sulla RC 181 500 quattro cilindri.

La Honda è stata la prima moto da corsa a raggiungere il tetto dei 100 Cv ma aveva carenze ciclistiche insormontabili e nemmeno il manico di “Mike the Bike” le permise di vincere il campionato del mondo.
Però da alcuni particolari, ammesso che i dischi e la forma delle teste e la presenza del motorino di avviamento possano essere dei particolari, questa mi sembra una Four travestita piuttosto che una RC 181 originale.
Vabbè, di questi tempi l’apparire conta almeno quanto l’essere.
Della Paton ho già scritto qualcosa a proposito di Lino Tonti ma è sempre una grande emozione trovarsene una davanti.

 Questa poi ha l’aria vissuta di una moto che è andata per davvero e per lungo tempo tra i cordoli.
Un tuffo nel passato per ricordare da dove veniamo senza sapere bene dove stiamo andando.

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