CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



martedì 22 febbraio 2011

KAWASAKI 1100 GPZ - Strange kind of bike

“…there once was a bike
A strange kind of bike
The kind that gets written down in history
Her name was nancy
Her face was nothing fancy
She left a trail of happiness and misery…”

Non credo che il proprietario abbia chiamato Nancy questa Kawasaki però parafrasare A Strange Kind Of Woman dei Deep Purple mi è venuto istintivo.
L’ho pescata stamattina da un meccanico che conosco e che la sta mettendo a punto.
E’ come dire…strana.
Telaio del Kawasaki 900 e motorone del GPZ 1100.
Messa giù da pista senza badare più di tanto all’estetica.

Her face was nothing fancy... di solito i “Frankenstein” a due ruote non mi stanno simpatici a meno che non abbiano una ferrea coerenza tecnica e estetica ma questa mi ha colpito ugualmente.
Niente da dire sul propulsore che davvero può passare alla storia con i suoi 130 cavalli piuttosto arrabbiati e gli ingombri laterali di un SUV.
Per fortuna la moto ha subito l’amputazione dell’alternatore e quindi gode di una “carreggiata” più contenuta.
La forcella è quella stock del GPZ dotata del famigerato sistema “anti-dive”, un marchingegno molto in voga negli anni ’80 e destinato a rendere ancora più pericolose di quel che già erano delle moto con motori potenti e ciclistiche quantomeno approssimative.
Il ritorno dell’olio è tappato e spero per il proprietario sia lasciato così.
Sul cerchio da 16” stock sono stati montati due dischi in acciaio autocostruiti con uno strano schema di foratura molto incline, a mio modesto parere, alle criccature.











She left a trail of happiness and misery…al retrotreno, oltre ai classicissimi e degnissimi Koni a doppia regolazione, c’è un bel forcellone in alluminio a sezione rettangolare dotato di capriata di rinforzo inferiore (costruito un po’ sullo schema dello Z 1100 anni ’90) dall’aria molto solida.
Cerchio GPZ 750 da 18”, il solito strano disco autocostruito e la pinza ancorata al telaio in funzione di antisaltellamento completano il reparto.

Le leggere pedanine sarebbero molto belle se non fossero verniciate in un orribile color rosso.
L’ignoranza pura fatta scarico che spunta sul lato destro e i corti cornetti dei carburatori promettono un sound da far tremare – crollare sarebbe esagerato – le mura di Gerico.
Serbatoio del GPZ, codone in resina e mezza carena completano l’opera.
Il color rosato del neoprene del codone insieme al giallo dei cerchi, il rosso delle pedanine, il verdolino metallizzato e l’argento delle sovrastrutture creano la cacocromia che me la ha resa simpatica.
La moto è stata comprata in Toscana e portata dal mio amico meccanico per la revisione e la messa a punto, tutt’ora in corso, per l’uso in pista.
Se la livrea sarà lasciata com’è…don't worry be happy.



Video e Scheda moto: KAWASAKI GPZ 1100

domenica 20 febbraio 2011

Qualcosa su Cafè Sport

Da un po' di tempo è possibile su Blogger accedere ai dati statistici del blog: numero di visite, origini del traffico, provenienza del pubblico ecc.
Leggo ora sul contatore 2300 visite circa da tutto il mondo, Africa e Cina escluse, di cui oltre 1300 nell'ultimo mese.
Praticamente da quando, dopo una lunga pausa, ho ripreso a pubblicare qualcosa.
Non so se si tratta di un buon risultato ma il dato mi conforta.
Ho sempre avuto voglia di comunicare agli altri motociclisti le emozioni dell'andare in moto, il piacere di un viaggio con zavorrina a bordo, la scarica di adrenalina della smanettata solitaria, il brivido dell'ingarellamento, la meraviglia di fronte a una bella meccanica o l'ammirazione per chi, partendo da una moto stock ne crea un'altra aderente ai propri canoni estetici e al proprio stile di guida.
Allora avevo una compagna, giornalista e grande esperta di comunicazione, che mi aiutò a creare un sito, Motospecialart.
All'inizio unendo la mia passione e la sua competenza furono organizzate delle belle cose.
Raduni come quello all'ISAM di Anagni, collaborazioni come quella con Run For Fun, e presenza a mostre come Fuori di giri.
La gestione di un sito non è però cosa da poco.
Se non si è capaci a smanettare con il piccì e con internet occorre un webmaster.
Per problemi di budget la gestione fu affidata a un appartenente a un motoclub capitolino.
A me quelle persone non piacevano e pian piano persi un po' dell' entusiamo iniziale.
Lo scambio merce all'inizio può sembrare vantaggioso ma alla lunga il prezzo da pagare è alto.
Il mio istinto aveva ragione, la mia compagna, socio fondatore del motoclub, fu successivamente estromessa.
Se avesse sfruttato la sua formazione classica leggendo con più attenzione Machiavelli avrebbe potuto immaginare come il “Principe” difende il suo potere per quanto piccolo e marginale possa essere.
Se si aspira a qualcosa di più dell'essere una goccia nel mare del web occorre essere politicamente corretti e fare le “cose giuste”.

Purtroppo ho sempre preferito i cattivi esempi ai buoni consigli, ho fatto poche volte le cose giuste e ho pagato in proprio.
Se avessi dato retta alle regole della comunicazione oggi probabilmente avrei un bel sito, mi darebbero le moto da provare e forse sarei riuscito a vivere di moto piuttosto che “mettendo i tubi”, come dice un mio amico salernitano.
Ma sono un cane sciolto, politicamente scorretto e nemico giurato dei compromessi.
Per questo non ho il sito, non vivo di moto ma del mio lavoro, scrivo di quel che voglio, come e quando voglio e conservo intatto il rispetto di me stesso.
Ricordo che ebbi un acceso scambio di mail con Giuseppe Roncen, all'epoca direttore di Racer, a proposito di un numero monografico sulle Triumph.
Mi ero sentito un lettore turlupinato, e rimostravo per questo, ma il povero Roncen faceva il suo lavoro: portare a casa lo stipendio suo e della redazione e salvare la testata.
L'ho capito dopo e, se per avventura dovesse leggermi, mi scuso con lui.
Forse, se Motospecialart fosse andato avanti, avrei potuto trovarmi nella sua stessa situazione e preferii far morire il progetto.
Dalle ceneri di Motospecialart nacque un blog: Classic & Racers Motorcycles.
Dedicai al nuovo progetto, aiutato sempre dalla stessa persona, lo stesso impegno profuso con il sito e ne venne fuori qualcosa di assolutamente degno.
Un blog è un blog, uno spazio personale, svincolato dai canoni ferrei della comunicazione e per questo molto più consono alla mia indole.
Il rapporto con quella Signora finì e lei, essendo a conoscenza delle password, rese il blog inaccessibile.
Chiedere spiegazioni o rivendicare la proprietà intellettuale di quanto scritto mi sembrò inutile e soprattutto poco elegante.
Tutto sommato lei aveva curato la parte grafica e l'indicizzazione e poteva considerarsi in parte comproprietaria.
Avendo fortunatamente conservato tutti i materiali creai Cafè Sport.
Perchè ho raccontato questa storia?
Forse perchè sta piovendo e non è possibile uscire con la nuova moto che ho portato a casa ieri, forse perchè sono troppo stanco per mettermi a trafficare in officina, forse perchè essendo in piena mezza età mi lascio andare sull'onda dei ricordi, sicuramente per ringraziare di cuore tutti quelli che hanno avuto la bontà e la pazienza di leggere qualcuna delle cose che scrivo.

20 Settembre 2011
Sono passati esattamente sette mesi da quando ho scritto questo post e il contatore di blogger è schizzato da 2300 a oltre 35000 visite.
Ho avuto ragione io?
Forse sì e forse no ma non è importante.
Ancora una volta ciò che conta davvero sono gli appassionati che mi leggono e a cui esprimo di nuovo tutta la mia gratitudine.
Grazie ragazzi !!!

20 Settembre 2012
E' passato un altro anno e Cafè Sport riscuote un successo sempre maggiore.
Le visite hanno raggiunto quota centotrentamila con una media di trecento visite al giorno.
Per questo continuo a ringraziare la vostra cortesia e pazienza.
Sì, forse avevo ragione io.
Buona lettura, Bikers !!!

20 Settembre 2013
Sembra irei che ho scritto questo post e invece è passato un altro anno.
Cafè Sport ha aggiunto altre centomile visite - ormai siamo a quota 238000 - anche se, preso da mille altri problemi, ho un po' trascurato il blog.
Conto però di tornare a pubblicare con la frequenza di un tempo.
Abbiate pazienza e buona lettura.



martedì 15 febbraio 2011

Bimota KB1 by Giuseppe Battisti

La BIMOTA è una factory motociclistica con sede a Rimini e fondata nel 1966 da Bianchi, Morri e Tamburini dal cui acronimo nasce la sigla.
Le prime moto prodotte dalla Bimota uscirono dalle catene di montaggio nel 1975.
Primo modello in assoluto fu la HB1 (Honda Bimota 1).
Su, ragazzo, se volessimo conoscere la storia della Bimota ci basta andare su Wikipedia e troviamo tutto quel che ci occorre…taglia corto.
OK, OK…veniamo al sodo.
Ricordate Giuseppe Battisti, quello della Honda 500 Four azzurra di cui parlai tempo addietro?
Beh, ne sta facendo un’altra delle sue.
Sotto le sue mani stavolta è finita una KB1.
Qualcosa sulla KB1 me la fate dire?











Fu presentata al Motor Show di Milano nel 1977, e prodotta dal 1978 fino al 1982.
Il propulsore era il quattro in linea del Kawasaki Z1000 con 84 Cv e una velocità di punta di poco superiore ai 230 Km/h e un peso a secco di soli 193 Kg.
Il telaio era perimetrale in tubi al Cr/Mo e il forcellone era misto in tubi e lamiera scatolata.
Ne furono costruite 827 di cui solo 16 come moto complete e le restanti sotto forma di kit.
A volte chi comprava una KB1 acquistava anche un kit per l’uso in pista.
A Giuseppe sono state affidate una moto completa per una revisione generale e un telaio da pista per la costruzione di un’altra moto.
Solo il telaio e niente altro.
Della moto completa c’è poco da dire, è splendida.
La mano di Massimo Tamburini è stata come sempre felice.
Non ho resistito e le sono salito in sella, mi sono incastrato nel piccolissimo spazio e, nonostante non abbia esattamente un fisico da fantino, ho trovato tutti comandi al posto giusto.
Evidentemente il triangolo ergonomico manubrio/sella/pedane è stato fatto oggetto di uno studio approfondito.
Per carità, non si tratta certamente di una moto da passeggio ma è sicuramente molto più comoda di tante supersportive della sua epoca.
La moto è priva di carena e personalmente spero che non venga rimontata, nascondere lo splendido telaio che abbraccia stretto il motorone Kawasaki sarebbe un delitto.
Ma quel che mi interessa di più è la moto in costruzione.
Giuseppe è un tecnico di razza ma non solo questo.
E’ un esteta.
Non c’è un solo particolare che non sia stato curato meticolosamente nell’assemblaggio e nella finitura.
La forcella anteriore è abbracciata da due ipertrofiche piastre in alluminio tirato a specchio.



Le pinze Brembo sono fissate agli attacchi originali dei gambali (anch’ essi lucidati a specchio) mediante adattatori realizzati come solo chi ama davvero il suo lavoro sa fare.
Piastre, adattatori e forcellone sono opera di Vittorio Mancini che li ha realizzati su specifiche di Giuseppe.
Giuseppe ha studiato, e Vittorio realizzato, anche un sistema per variare la lunghezza degli ammortizzatori Koni; se avete la pazienza di andare a guardare con attenzione le foto della 500 Four azzurra di Giuseppe vi renderete conto di cosa parlo.
Credo che anche gli ammortizzatori di Penny (la mia costruenda Guzzi) finiranno nell’officina di Vittorio.
La cura del particolare traspare dallo sdoppiatore del comando dei freni anteriori, dalla verniciatura del motore ( quello del Kawasaki Z1 900 ), dal trattamento dei carter, dal bocchettone del rifornimento – anche esso ricavato dal pieno e realizzato ad hoc.
Serbatoio e codone sono delle ottime repliche in vetroresina.



Aspetto di vedere che carburatori verranno montati ma, conoscendo Giuseppe, con ogni probabilità si tratterà di una batteria di Keihin CR.
Lo scarico sarà quasi sicuramente un 4 in 1 Marving.
I lavori sono momentaneamente bloccati a causa della difficoltà a reperire i cerchi originali - la KB1 montava dei cerchi in lega con disegno a stella a 5 punte o, in alternativa, dei sei razze in elektron.
Il risultato sarà senza dubbio eclatante.
Ogni particolare o componente appare come parte di un progetto unitario dove niente è lasciato al caso o all’improvvisazione.
E’ evidente come la moto sia già perfettamente definita in ogni dettaglio nella mente di Giuseppe.
Non c’è traccia nell’ordinatissima officina di schizzi, bozzetti, progetti o altro.
Ah, per inciso, nessuno di loro vive di moto; per mangiare fanno altro.
Tutto viene realizzato nel poco tempo libero.
Questa è solo competenza e passione.

martedì 8 febbraio 2011

Carlo Talamo, il "Capitano" Fontana e la forza della comunicazione

Mi capita ogni tanto la sera tardi, quando lavoro e figli sono per un attimo accantonati, di prendere a caso dalla sovraccarica libreria che ho in camera da letto qualche rivista di motociclismo.
Alcune sono vecchie di decenni.
Motociclismo, Motociclismo d’epoca, Cafè Racer, La Moto, Racer, Motosprint, Moto Special, Classic Bike e Legend Bike.
Proprio su un Legend Bike del Dicembre 1992 trovo un articolo di Carlo Talamo che racconta di come ha contattato e riunito a Vallelunga piloti legati al marchio Triumph per una prova/incontro in pista con la allora nuovissima Trident.
Gente del calibro di Vanni Blegi, Roberto Provenzano, Luciano Rivabene e qualcun altro accettarono l’invito e la giornata rievocativa/promozionale si fece e il buon Carlo provvide a pubblicizzarla nel modo giusto.
Storia emblematica di un grande comunicatore, quella di Talamo, iniziata a Milano con la creazione della Numerouno, importatrice e concessionaria Harley Davidson e continuata poi con la appena rinata Triumph .
Riuscire a vendere e far diventare oggetto del desiderio delle motociclette dalla architettura arcaica, dalle prestazioni meno che modeste e dal costo esorbitante non è cosa da poco.
Da non dimenticare che gli ‘80 erano anni votati al mito della velocità e che spesso il successo di un modello era decretato semplicemente dall’essere più veloce delle dirette concorrenti .
E’ vero che avere dei soci come Roberto Crepaldi, figlio del concessionario storico Ferrari a Milano, e Max Brun, comunicazione e relazioni internazionali, facilita il compito ma l’impresa era da far tremare i polsi.
Geniale la trovata di fare la pubblicità con delle belle foto accompagnate da “poesie” inneggianti alla libertà, all’avventura, al rapporto quasi fisico con la moto.


“La moto è la mia libertà” l’ho fatta mia.
Se oggi le Harley sono il fenomeno di costume che sono in gran parte lo si deve a Talamo.
Con la Numerotre e la Triumph il nostro ha dato il meglio di sé.
Sono dovute al suo estro creativo e al suo fiuto per gli affari la creazione di modelli come la Triton su base Bonneville fatta realizzare da Pettinari, la Baby Speed, e l’ultima Speed Triple , quella a coda mozza e lo scarico sottosella.










Tanto per citare.
Su Talamo si è detto tutto e il contrario di tutto: spregiudicato uomo d’affari o appassionato motociclista?
Probabilmente una miscela vincente di entrambe le cose.
La lezione di Talamo non è andata persa; c’è un certo Andrea “Il Capitano” Fontana da Bologna che la storia di Talamo l’ha studiata e la conosce a memoria.
La conosce e la ripercorre.
Per carità, non c’è nulla di male a seguire le orme di un genio della comunicazione come il compianto Carlo anche senza i mezzi e le conoscenze di Crepaldi e Brun.










Per investire tempo e risorse nella promozione di un dinosauro a due ruote come la Royal Enfield e tentare di farla diventare un fenomeno di costume ci vuole coraggio.
Coraggio e determinazione.
Sulla base della moto indiana Fontana ha sviluppato allestimenti evocativi come la Royal McQueen e la Sportsman oltre a una linea di abbigliamento e accessori dedicati.
Forza Capitano, la strada è quella giusta…io tifo per te.