Non ho una gran simpatia per i ciclomotori, probabilmente perché quelli sportivi di cui si favoleggiavano prestazioni straordinarie (settanta all’ora "tutto abbassato" di Malanca e Aspes, tanto per citare) che avrei voluto da ragazzino erano fuori della mia portata e da quella dei miei genitori impegnati a crescere e far studiare quattro figli.
Ho incontrato un Moto Guzzi Guzzino 65 “Tipo corsa”
alla Mostra Scambio Auto e Moto d’Epoca di Sora.
Perché poi si chiamino “mostre scambio”,
considerando che non si scambia niente se non merce contro denaro come in tutte
le transazioni commerciali di questo mondo, un giorno o l’latro qualcuno me lo
spiegherà.
Suvvia, niente divagazioni lessicali, torniamo al nostro
Guzzino.
Siccome, come appena detto, so praticamente nulla
di ciclomotori ho cercato lumi nel WEB e così sono capitato sul sito WWW.MOTOCARDELLINO.IT dove Roberto
Patrignani nel “Il Guzzino che non ebbi” racconta del suo acerbo amore per
questo oggettino che riassume compiutamente anche il mio tormentato rapporto
con i cinquantini sportivi.
Trascrivo integralmente.
IL GUZZINO CHE NON EBBI di Roberto Patrignani
“Dovessi fare una graduatoria dell”impossibile,
considerando le moto più ardentemente desiderate della mia vita e il mio potere
d’acquisto nella relativa epoca, vedrei svettare il Guzzino 65 molte lunghezze
davanti alla Honda RC30 o addirittura alla NR a pistoni ovali.
In altre parole, in età cosiddetta matura (ma il
vero motociclista non sarà mai maturo nel senso compiuto del termine), avrei
potuto teoricamente acquistare con salti mortali, cambiali, svendite di altri
beni e ipoteca sulla casa, motociclette di grande prestigio e costo proibitivo.
A 11-12 anni nessuna scappatoia al mondo avrebbe
potuto consentirmi invece di comprare il Guzzino: meraviglia tra le meraviglie,
luce nelle tenebre, miracolo prodigioso apparso all’improvviso nel firmamento
delle nebulose fantasie di quella tormentata età in cui – come diceva
benevolmente mia nonna – non si è né carne e né pesce.
Altro che né carne né pesce.
Avevo idee chiarissime e propositi “definitivi”
per quanto riguardava una cosa almeno: l’innamoramento assoluto nei confronti
della motocicletta e l’irrinunciabile “voto” di fare il corridore motociclista,
da grande.
Sorvolando –alla luce dei fatti- sulla qualità del
corridore, devo riconoscere che sono stato coerente o …carente nello sviluppo perché,
se non fosse stato per il tradimento perpetrato
ai miei danni dalla carcassa esterna, sono rimasto emotivamente,
sipiritualmente, inconcludentemente quello che ero allora: un adolescente pieno
di sogni e di slanci e con il fermo proposito di mettere la testa a posto.
Ma per questo c’è tempo quando sarò grande.
Bisogna dire che importanti fattori avevano
giocato a favore del mio rapimento oltre i confini del motociclismo: l’apparizione
del Guzzino sulle strade del ramo lecchese del Lago di Como (dove eravamo
sfollati da Milano in piena epoca di bombardamenti con tanto di casa rasa al
suolo) e il primo circuito di Lecco nel ‘45, che mio padre aveva incautamente accompagnato
me e mio fratello a vedere.
Folgorazione assoluta!
Quella era la mia vita, il mio futuro, ciò che
inaspettatamente era piombato da un giorno all’altro nel bel mezzo della mia
strada, come la bomba che ci polverizzò la casa di Via Canova a Milano dopo che
l’avevamo da poco lasciata.
Consapevole che non potevo correre in moto a 11
anni, trasferii questo fortissimo desiderio sulla moto più avvicinabile tra
quante vedevo in giro: il Guzzino, per l’appunto.
Ma non proprio così, tale e quale, con il cambio a
tre marce da manovrare a mano sulla destra del serbatoio e l’acceleratore a
manettino.
Bensì con il cambio a pedale, acceleratore a
manopola, frenasterzo da “indurire” in rettilineo, come avevo visto fare al
circuito di Lecco e poi a quello di Mandello nel ’47.
Del resto che non fossi l’unico a sognare un Superguzzino
tipo corsa, lo dimostravano i fatti.
Dopo la comparsa del Gambalunga 500 – moto che
mandò in visibilio chiunque l’avesse visto dal vero o in fotografia- era
infatti sbocciata la mania di trasformare i Guzzini in piccoli Gambalunga, come
si parla nelle pagine seguenti.
Quello era il Guzzino che desideravo e che
alimentava le mie fantasie diurne e notturne.
Ma era impensabile reperire e comprare anche un
Guzzino normale.
Quanto all’usato, il termine era di la dall’essere
per un oggetto del genere.
Basti dire che i concessionari che si recavano a
Mandello con il motocarro a ritirare i “65” che via via venivano loro
consegnati in base alle ordinazioni fatte per tempo si dice che li andassero a
Mandello stesso perché, durante il pasto di mezzogiorno al Ristorante Grigna,
sulla statale, prima di riprendere il cammino per le rispettive destinazioni,
erano accerchiati da… famelici branchi di persone che, denaro alla mano e
pagando assai più del prezzo di listino, volevano il Guzzino, così sui due
piedi.
Dasl canto suo la Moto Guzzi fu talmente onesta
che, quando la produzione assunse un ritmo tale da poter far fronte alle
richieste e i costi diminuirono grazie al grande numero di unità prodotte, i
prezzi vennero abbassati, passando dalle 159.00 lire della prima serie alle
107.000 lire.
Eppure, se proprio avessi voluto, ce l’avrei forse
fatta ad avere anche io il Guzzino.
Mio padre visto quanto ci tenevo mi promise
infatti di comprarmelo se fossi stato promosso a Giugno in quel tribolatissimo
anno della prima media dove avevo sufficienze soltanto in italiano e ginnastica
e neanche in condotta.
Me l’aveva però detto troppo tardi, alla fine del
secondo trimestre.
Non ci fu nulla da fare.
Cercai ugualmente di riscattarmi, studiando tutta
l’estate per poter dare da privatista in Ottobre, l’esame di ammissione alla
seconda Avviamento Professionale, per non perdere l’anno.
Difatti ce la feci.
Ma ormai molte cose erano cambiate e altro che
Guzzino…finii in collegio.
Adesso, ironia della sorte, potrei comprarmi un
bel Guzzino rimesso a nuovo e tenerlo in salotto, a titolo di rivincita di quel
giovinetto che tanto lo desiderava.
Ne ho anche posseduto uno bellissimo, parecchi
anni fa, ma dopo i primi momenti di estasi e qualche giretto, la smania è
sbollita da sé.
E’ allora che dovevo averlo, non adesso.
I sogni non si possono surgelare.
Vanno consumati freschi, ricchi di linfa, colori,
profumi, unicamente al momento della massima fioritura.
Dopo, sono come quelle violette seccate tra le
pagine di un vecchio libro.
Procurano mestizia e l’impulso di richiudere il
libro con un botto ovattato e un soffio di polvere che sa di muffa.
Però – brutto fesso – potevi studiare come si deve…"