E’ sempre una emozione trovarsi di fronte a moto
che hanno fatto la storia del motociclismo e la Moto Guzzi 350 Bialbero in
questa storia ha una parte sicuramente rilevante.
Ovviamente questa è una replica ma ciò non toglie
niente al suo fascino.
Del resto anche la Moto Guzzi qualche anno fa
volle replicare la moto ma il progetto si arenò non per le difficoltà connesse
alla meccanica o alla ciclistica ma per la pratica impossibilità di replicare
la bellissima carena che in origine era battuta a mano in lamiera di magnesio.
Una bella stampata di ABS avrebbe risolto il
problema ma la plastica non si addice a una regina come la Bialbero.
Sono però sicuro che qualche esemplare, per quanto
nuda, sia stato prodotto e ora faccia sfoggio di sé in qualche collezione
privata.
Questa replica monta la semicarena “a becco” ,
piuttosto brutta in verità e piuttosto lontana come conformazione da quelle
originali, che era propria dei modelli precedenti, quelli, per intenderci, che
avevano il telaio a traliccio senza il tubone centrale in funzione di serbatoio
dell’olio.
La carena originale “a campana” vista di fronte
aveva una conformazione perfettamente ovoidale studiata nella galleria del
vento di cui la Moto Guzzi all’epoca era già dotata.
Il primo approccio alla classe 350 avvenne nel
1953 con un motore derivato dal 250 con
l’alesaggio portato a 72 mm (317 cc ) e erogante poco più di una trentina di
cavalli a 7700 giri.
Con questa moto Anderson vince a Hockenheim e
arriva terzo al Tourist Trophy.
Nello stesso anno l’alesaggio venne portato a 75
mm ( 345 cc ) e la potenza sale 33 CV a 7500 giri.
In questa configurazione vincente Anderson e
Lorenzetti assicurano alla Guzzi il Mondiale Marche a e a Anderson il Mondiale
Conduttori.
Bill Lomas |
Colnago al circuito di Ospedaletti |
Nel 1954 fa la sua apparizione la Bialbero derivata
dalla 250 che con un Dell’Orto SS da 40 mm eroga 35 CV.
Anche stavolta il Mondiale Costruttori va a Fergus
Anderson.
Bill Lomas e John Surtees |
Per il 1955 il motore viene derivato dal nuovo 500
Bialbero, è fortemente sottoquadro ( alesaggio e corsa rispettivamente di 80 e
69.5 mm per una cilindrata di 349.34 cc ) e eroga potenze che vanno da 37 a 40
CV.
Nella configurazione finale e con il fuori giri ammesso
di 600 giri la velocità massima arriva a 220 Km/h.
Il motore, progettato da Giulio Cesare Carcano (
lo stesso della stupefacente 8V) è un esempio di razionalità, semplicità e
efficienza e conservava il caratteristico volano esterno di tutte le Guzzi
monocilindriche orizzontali.
Il cambio era a cinque marce.
I carter erano fusi in magnesio mentre cilindro e
testata erano fusi in lega di alluminio.
Le prime versioni avevano la canna in ghisa
installata con interferenza mentre le ultime l’avevano integrale con riporto in
cromo duro.
La distribuzione prevedeva un albero a coppie
coniche e giunto scanalato calettato
direttamente sull’albero motore e
azionanti due treni di ingranaggi cilindrici.
L’angolo minore di 60° tra le valvole era per l’epoca
molto chiuso e questo garantiva una camera di combustione che consentiva un
alto rapporto di compressione e una elevata efficienza termica.
L’accensione era doppia.
Non era raro trovare a quei tempi angoli tra le
valvole compresi tra 90° e 100°; questo per consentire di montare valvole di
grande diametro anche se a scapito del rendimento termodinamico.
Quattro o cinque valvole parallele per cilindro
sarebbero arrivate molto più tardi.
Il telaio prevedeva un grosso tubo da 85 mm a cui
era saldato il cannotto di sterzo dotato di cuscinetti a rulli conici con
inclinazione di 23°30’ per una avancorsa di soli 55 mm (valori molto vicini a quelli delle moderne supersportive); al “tubone”
erano collegati due tralicci, uno per il sostegno del motore che così risultava
“appeso” per quattro punti alla struttura e uno per la sella e gli
ammortizzatori posteriori.
La sospensione anteriore era a ruota spinta con
ammortizzatori esterni (Girling) a doppia molla mentre nella moto fotografata
sono montati dei banalissimi anche se efficienti Koni.
La sospensione posteriore era a forcellone
oscillante con ammortizzatori teleidraulici prodotti dalla Girling o dalla
Sturcher e sembrano originali sulla Bialbero che ho incontrato a Vallelunga.
Le ruote montavano cerchi in alluminio da 19” all’anteriore
e 20” al posteriore.
I freni a tamburo anteriori erano doppi da 230 mm
e al posteriore c’erano dei tamburi a singola camma da 200 mm.
Una curiosità: il collegamento del freno
posteriore al telaio per mezzo di una bielletta, soluzione ideata per limitare
il saltellamento della ruota posteriore in frenata e poi adottata
universalmente per decenni, è un brevetto Moto Guzzi.
Il serbatoio di grande capacità era diviso in due
parti, una superiore e una inferiore.
Il ponte di comando prevedeva uno strettissimo manubri
etto ( necessario per permettere al pilota di restare “in carena”), il caratteristico
frenasterzo e il contagiri meccanico.
La sella rivestita in pelle era un esempio di
eleganza e non stonerebbe affatto su una moderna cafè racer.