CHI SONO

Sono malato di moto.

Mi piacciono tutte ma preferisco quelle che hanno sacrificato qualche orpello originale o la conformità alle norme del codice della strada sull'altare dell'edonismo per l'esaltazione dell'ego del loro possessore. Moto mutilate? Non proprio.
Preferisco immaginarle, che Dio mi perdoni l'eresia, come le sculture che Michelangelo immaginava intrappolate nei blocchi di marmo. Moto liberate da quanto imposto dai diktat degli studi di marketing, dal politically correct, dalle normative ambientali, dalle regole imposte dai burocrati. Moto scostumate, irriverenti, esibizioniste, visionarie ma vere vive e pulsanti.
E senza fare distinzioni tra custom, bobber, streetfighter, racer replica ecc. ho voluto creare uno spazio virtuale in cui incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e sul quale proporre le proprie creazioni. Quache paludato bacchettone resterà inorridito ma ritengo che ogni prodotto dell'ingegno umano sia Cultura. Inviatemi le foto delle vostre creature e un commento sull'iter mentale e operativo che ha condotto all'evento.
Da me l'ingresso è libero.

Qualcosa su cafè sport



domenica 2 dicembre 2007

STORIA DELLA MOTOCICLETTA - HONDA RCB

















Lo ammetto, sono un nostalgico.
C’è stato un periodo, negli anni ’70, in cui tutte le case motociclistiche si cimentavano nelle gare di durata.
L’Endurance.
Circuiti dai nomi famosi… Le Mans, Bol D’Or, Montjuiich, Nurburgring, Monza, Imola Thruxton… e moto altrettanto famose… Laverda SFC, Guzzi, Honda RCB, Triumph Trident, Ducati.
Quelle moto, per me ragazzotto montato su monocilindriche nostrane, avevano un fascino particolare, mi hanno fatto sognare e mi sono rimaste nel cuore.
Carene protettive, coppia di faroni Hella esterni, scarichi aperti e un aspetto strettamente legato alla funzionalità e alla essenzialità delle corse che poco lasciava alla esteriorità.
Niente a che vedere con la levigata immagine dei moderni bolidi da GP, nessun motorhome, nessuno sponsor, nessun monitor con i tempi, niente telemetria …solo la moto, l’olio, la benzina, il cronometro e l’orgoglio che vince la notte infinita e la stanchezza.



Serbatoi enormi con la striscia di vetroresina lasciata senza verniciatura per il controllo rapido del livello carburante, staffette di sostegno evidentemente autocostruite, nastro isolante ( quello bianchiccio e appiccicoso che usava una volta sulle manopole ) e soprattutto una riconoscibilità senza uguali.
Le riconoscevi al volo erano parenti strette di quelle che giravano liberamente sulle strade.

Le riconoscevi guardandole e le riconoscevi dal rombo.
Quello ritmato delle Guzzi, quello piu’ cupo delle Laverda, quello inconfondibile delle Ducati, il vocione rauco delle Trident, l’ululato lancinante delle quattro cilindri Honda.

Ho vissuto una di queste corse, ho detto ai miei che non sarei tornato dall’università quel fine settimana, e con quattro soldi e stipati in un 128 Fiat di un amico siamo andati a Imola.
Dopo un po’ avevo imparato a riconoscere i piloti dal rumore.
Erano lunghe le ore dell’Endurance, acciacchi vari e riparazioni estemporanee facevano acquistare ad ogni moto un timbro unico.
Ma di cosa avrei voluto parlare?
Mi sono fatto prendere dai ricordi.
A cinquant’anni si comincia ad invecchiare e i vecchi si sa… Ah, ecco, si…della Honda RCB.
Era bella la Honda…eggià quelli c’avevano i soldi.
Livrea rossa con le righine bianche e blu.
Iconfondibile.
Al suo esordio nel 1976 c’era uno staff di circa trenta persone.
Un numero esorbitante considerando che squadre di primaria importanza come Laverda e Ducati si fermavano a circa 10.
L’avevano elaborata sulla base della CB 750 e poi su quella della Bol D’Or.
Cilindrata portata a 1000 cc, testa bialbero, trasmissione primaria modificata da catena duplex a ingranaggi, albero motore montato su cuscinetti e non piu’ su bronzine, accensione elettronica, telaio rivisto, quattro Keihin a depressione da 34 mm, potenza di circa 120 CV, 170 kg, 270 Km/h. Niente male per una nonnetta di trenta anni fa.
Restava la lubrificazione a carter secco e serbatoio dell’olio nella triangolazione del telaio ispirato, come per la CB750, al mitico Featherbed ( almeno nelle prime versioni, in seguito divenne “perimetrale”).
Evocativo il tappo del rifornimento dell’olio sulla parte destra del serbatoio.
Il carter secco se da un lato limitava l’ingombro verticale del motore era in effetti l’unico punto debole della moto.
Frequenti le perdite d’olio e le rotture.
La RCB con piloti come Leon, Chemarin, Woods, Williams ha dominato il campionato Endurance da ’76 all’80.
Però questa è soltanto storia e le fredde cifre sono reperibili pescando su un qualsiasi motore di ricerca.
La RCB è stata a mio avviso il trait d’union tra l’epoca pionieristica dell’Endurance e l’epoca attuale dominata dal peso economico, strutturale e organizzativo delle Case nipponiche.
A me interessano le emozioni, le statistiche e le classifiche le lascio ai Dotti che le conoscono a memoria.

1 commento:

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